«Il momento che più spesso ricordo di noi due insieme è quando andammo a Roma per una manifestazione per la pace e Giancarlo fece amicizia con delle ragazze, non mi ricordo più di dove fossero, forse di Modena. A loro chiese in prestito il gesso per farsi abbozzare il simbolo della pace sul volto. Dopo averglielo disegnato, gli scattai una foto. Mai avrei pensato che quell’istantanea sarebbe stata pubblicata su tutti i giornali per annunciare la sua morte».
Onorevole Siani, che fratello è stato Giancarlo?
«Giancarlo era un ragazzo normale, aveva le sue passioni che spesso condividevamo, lo sport, il calcio, la musica, il cinema. Eravamo due fratelli molto uniti, eravamo una famiglia unita, ma vi sto parlando di un altro mondo, un mondo senza internet, senza i cellulari, un mondo molto più lento ma dai rapporti umani più stretti e sinceri».
Vero, era un altro mondo quello degli anni vissuti – troppo pochi – da Giancarlo Siani. Gli anni del liceo G.B. Vico, del movimento studentesco, delle collaborazioni con alcuni periodici, quelli da corrispondente del quotidiano Il Mattino, tutti con l’unico obiettivo di mettere al centro le fasce più disagiate della società e quel cancro purtroppo ancora troppo vivo della criminalità organizzata.
Paolo Siani, primario pediatra dell’Ospedale Santobono di Napoli e deputato, fratello di Giancarlo, è impegnato da sempre, dalla maledetta sera del 23 settembre 1985, quando il giornalista fu assassinato con dieci colpi di pistola alla testa sotto casa, a tenerne viva la memoria. In occasione di quella terribile data, abbiamo voluto ricordarlo anche noi rivolgendo alcune domande proprio a Paolo, le cui risposte siamo certi le avrebbe date anche Giancarlo che del giornalismo aveva una considerazione alta e nobile, tanto da dividere la categoria in giornalisti impiegati e giornalisti giornalisti.
Lo scorso 19 settembre, Giancarlo avrebbe compiuto 60 anni con la certezza che avrebbe mantenuto la sua passione, il suo desiderio di verità. In un messaggio letto a un convegno da me moderato, Lei ha scritto: sarebbe bello, un giorno, poter parlare non più del coraggio della verità, ma della normalità della verità. Siamo ancora lontani?
«Sì, credo che siamo ancora lontani, anche se sono stati fatti passi avanti. I cronisti che, ispirati anche dall’esempio di Giancarlo, raccontano la verità, non lo fanno per mostrare coraggio, ma perché credono nel valore della verità e nell’importanza di raccontare i fatti. Il vero discrimine tra coraggio e normalità non dipende da loro, ma da leggi concrete e giuste a beneficio della libertà di stampa, contro le querele temerarie e il bavaglio. Se la verità si afferma come valore tutelato realmente in tutte le sue sfaccettature, allora potremo parlare di normalità della verità. Ma se si continuano a minacciare cronisti e a paventare chiusure di giornali, soprattutto quelli attivi su piccoli territori e dediti alle cronache locali, allora la normalità è ancora lontana e l’unico elemento a disposizione per andare avanti resta il coraggio».
Giancarlo per molti redattori, in particolare precari e a rischio per il loro lavoro, è un punto di riferimento, un faro, un esempio di autentico giornalismo lontano anni luce da certa cialtroneria dei nostri tempi che mortifica la categoria e non rende un buon servizio alla comunità. Cosa sente di dire a questi giovani colleghi?
«Mi aggancio a quanto affermavo prima. I giovani cronisti, ma non solo quelli giovani, hanno bisogno di tutele certe. Da parte loro occorre continuare a lavorare con passione, curiosità, capacità di collegare i fatti, voglia di apprendere, studio. Io continuo a pensare che chi si impegna a fondo prima o poi sarà premiato. Certo, sta alla politica fare buone leggi e farle camminare su gambe solide».
Un giovane e bravo giornalista professionista laureato in Economia che conosco sin da bambino, deluso dallo sfruttamento e dalle difficoltà di inserimento, ha preferito andare a raccogliere pomodori nel Lazio per poter guadagnare qualche soldo insieme ad altri immigrati. Allo stesso modo, due validissimi colleghi del nostro giornale potrebbero spostarsi presto nel Nord Europa in cerca di stabilità. Lei è certamente uno di quei parlamentari presi, come si suol dire, dalla società civile, sempre presente alla Camera e impegnato nella XII Commissione Affari Sociali e Sanità e nella Commissione bicamerale per l’Infanzia. Fosse al governo con delega all’editoria e problematiche dell’informazione, quale impegno si sentirebbe di prendere a favore dei tanti giornalisti in cerca di impiego, precari e mal pagati?
«Pochi ma concreti: salvaguardia di tutte le testate che lavorano sui territori rispettando i principi della deontologia, tutele certe a difesa del lavoro intellettuale e lotta alle querele temerarie. Alcuni impegni, pur occupandomi di altri settori, li ho già presi e l’anniversario dell’omicidio di Giancarlo in tal senso svolge una funzione di grande valore: far memoria del sacrificio di mio fratello non significa solo riacutizzare una ferita che per me non si chiuderà mai, ma anche assumere impegni concreti per la libertà di stampa e a beneficio dei giovani cronisti. Proprio il 23 settembre al Palazzo delle Arti di Napoli abbiamo inaugurato la nuova Sala della Mehari di Giancarlo Siani – Sala della Memoria: sull’auto di Giancarlo continueranno a viaggiare idealmente le istanze di tutti i cronisti minacciati e di tutte le vittime innocenti della criminalità. L’auspicio è che la rinnovata compagine governativa riesca, in tempi brevi, ad adottare provvedimenti favorevoli all’editoria e a una sana pluralità dell’informazione, che il Presidente Mattarella ha giustamente definito un baluardo della nostra democrazia».
RingraziandoLa dell’opportunità concessaci di ricordare con noi e i nostri lettori Giancarlo, Le chiedo un ricordo, un particolare, un momento di vita tra voi fratelli…
«Il momento che più spesso ricordo di noi due insieme è quando andammo a Roma per una manifestazione per la pace e lui fece amicizia con delle ragazze, non mi ricordo più di dove fossero, forse di Modena. A loro chiese in prestito il gesso per farsi abbozzare il simbolo della pace sul volto. Dopo averglielo disegnato, gli scattai una foto. Mai avrei pensato che quell’istantanea sarebbe stata pubblicata su tutti i giornali per annunciare la sua morte».