Mario Carrara, Nella Mortara, Enrica Calabresi: sono questi i nomi delle tre vittime dell’Olocausto alle quali il Comune di Roma ha voluto dedicare altrettante vie cittadine precedentemente intitolate a firmatari del manifesto fascista della razza del 1938. Ma come mai, verrebbe da chiedersi, fino a oggi e in oltre settant’anni dalla caduta del fascismo, per le strade della città capitolina sono apparsi i cognomi di figure che hanno appoggiato la dittatura più barbara e criminale che ci sia mai stata e che infetta ancora in parte – per fortuna minoritaria – il nostro Paese?
Già, perché il punto è tutto qui: all’indomani della fine del ventennio nero, varie figure di spicco provenienti dalle più disparate sensibilità si riunirono per scrivere una Costituzione – antifascista – che contenesse gli anticorpi necessari atti a evitare nuovi regimi autoritari. A ciò, tuttavia, non seguì una defascistizzazione degli apparati centrali che gestivano il Paese. È sufficiente, infatti, guardare il film Segreti di Stato per rendersi conto di quanti gerarchi mussoliniani siano stati graziati e reinseriti in punti nevralgici ed è da lì che riusciamo a capire come la cultura fascista sia rimasta radicata in alcuni settori della società che hanno, poi, trovato libero sfogo con la nascita di quello che fu il Movimento Sociale Italiano.
Non a caso, il problema del fascismo si è riproposto anche recentemente con la nascita di gruppi dichiaratamente di estrema destra che trovano tutt’oggi la complicità di partiti come la Lega o Fratelli d’Italia: basta tornare al 6 settembre scorso, a quando il governo Conte bis ha ricevuto la fiducia della Camera dei Deputati mentre fuori dall’Aula veniva contestato dai due principali esponenti di opposizione. Certamente, il problema non sarebbe sorto se in quella piazza non si fossero fatte vedere tante braccia tese e senza vergogna alcuna nonostante la vicinanza al cuore della democrazia, il Parlamento, e invece… Ma non essendo noi dei nostalgici del Ventennio, tantomeno di Piazzale Loreto, possiamo democraticamente esprimere il nostro ribrezzo per la presenza dei seguaci della tartaruga capovolta e di una forza per nulla nuova all’interno di uno Stato di diritto in cui la sovranità appartiene al popolo e non a un dittatore. Uno Stato in cui tutti i cittadini hanno pari dignità sociale senza nessun tipo di distinzione e, soprattutto, in cui è vietata la riorganizzazione del partito fascista in qualunque sua forma. Per fortuna, non siamo i soli a pensarla in questo modo.
Mentre Di Stefano e compagnia brutta erano impegnati a riempire la piazza invocata dalla Meloni, infatti, alcuni social network agivano per chiudere le pagine dei gruppi neofascisti e dei loro dirigenti perché le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono non trovano posto su Facebook e su Instagram. Una motivazione chiara, semplice e – magari – scontata che serve non solo a prendere le distanze, ma anche e soprattutto a schierarci contro chi soffre di nostalgie malate e pericolose.
Ovviamente, causa trauma estivo da perdita del potere, non è mancato chi – ed è anche superfluo fare nome e cognome – ha ignorantemente sbroccato per la presa di posizione dell’azienda di Mark Zuckemberg, alludendo a una decisione-bavaglio: sarebbe utile ricordare a questi signori che di bavaglio si può parlare quando qualcuno aggredisce da un comodo palco dei pacifici contestatori definendoli in maniera qualunquistica zecche comuniste, quando vengono rimossi civili striscioni di protesta o, peggio ancora, quando si minaccia di non far uscire dei parlamentari dal luogo di assemblea in caso di modifiche ai decreti insicurezza. In un Paese normale, pertanto, sarebbe scontato girare per la città senza dover correre il rischio di imbattersi in strade dedicate a fascisti, invece ci troviamo nella situazione in cui dobbiamo applaudire – e lo facciamo con sincerità – chi ha voluto togliere quei nomi, lodando simbolicamente i già citati Nella Mortara, unica donna del gruppo di fisica I ragazzi di via Panisperna di Enrico Fermi, radiata in quanto ebrea, Mario Carrara, professore universitario che rifiutò di effettuare il giuramento di fedeltà al fascismo, ed Enrica Calabresi, suicidatasi perché fu decisa la sua deportazione ad Auschwitz.
Ecco che allora, ancora oggi, dobbiamo considerare le rispettive scelte della città amministrata da Virginia Raggi e del social network più diffuso come dei gesti coraggiosi e di resistenza, in attesa che tutte le istituzioni dimostrino concretamente che il fascismo e i fascisti, insieme alla mafia e ai mafiosi, rappresentano la parte più squallida della nostra Storia e della nostra comunità. Solo allora potremo restituire dignità a tutte le vittime dell’Olocausto. Perché le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono non devono trovare posto né su Facebook né su Instagram né da nessun’altra parte.