Popolo misterioso gli Etruschi che, contrariamente a quanto immaginiamo, ebbero una diffusa presenza anche in Campania, iniziata alle soglie del I millennio a.C. e coincidente con il periodo di gran fioritura dei centri dell’Etruria Meridionale quali Tarquinia, Caere, Veio e Vulci. Il geografo greco Strabone, infatti, ci ricorda che gli Etruschi, estendendo il loro dominio anche in Campania sino all’Agro Picentino, nel salernitano – replicando il modello della dodecapoli già conosciuto in Etruria – vi fondarono ben dodici città: Nola, Capua, Nocera, Ercolano, Pompei, Sorrento, Marcina, Velcha, Velsu, Irnthi, Uri, Hyria. musei di questi territori ci raccontano gli intensi contatti degli Etruschi con i popoli campani, la rivalità con Cuma e lo scambio culturale con i popoli dell’Opicia.
A Napoli, inoltre, ha aperto dal mese di luglio del 2014 – grazie al Rettore Padre Pasquale Riillo – presso l’Istituto Francesco Denza di Posillipo, il Museo De Feis che ci riconduce alla riscoperta di questa gente antica, mettendo in mostra reperti di diverse tipologie e periodi storici, provenienti da acquisti sul mercato antiquario o da donazioni di ex-allievi raccolti nel XIX secolo dal Padre Leopoldo De Feis, docente di latino e poi Rettore dell’Istituto “Alle Querce” di Firenze chiuso nel 2005.
Il museo è suddiviso in quattro sale in cui sono collocate le vetrine che espongono i reperti suddivisi permateriali o per ambienti di provenienza. Il nucleo principale della collezione è costituito da circa 250 oggetti provenienti dalle necropoli etrusche di Orvieto, località “Crocifisso del Tufo” e “Cannicella”, scavate proprio nel periodo di formazione della collezione. Il resto è stato acquisito sul mercato antiquario, ma un consistente nucleo giunge dalla donazione della famiglia d’Avalos, feudataria di Montesarchio, in provincia di Benevento. In particolare, i reperti esposti provengono dalle necropoli cittadine databili al periodo arcaico. Fanno parte della collezione anche numerose iscrizioni d’epoca imperiale donate dal padre barnabita Luigi Bruzza e provenienti dal territorio romano.
Sette mesi di lavoro della curatrice, l’archeologa Fiorenza Grasso, coadiuvata dalla dott.sa Caterina Murro e dal dott. Giuseppe Vecchio della Soprintendenza Archeologica di Napoli, per ordinare l’eterogeneo materiale e illustrarlo, conciliando il precedente allestimento fiorentino del 1987 con le indicazioni delle moderne tecniche mussali e la volontà di rendere parlanti gli oggetti.
Lo scopo del piccolo museo napoletano è fondamentalmente didattico e in questa direzione sono stati pensati i pannelli esemplificativi che corredano le sale espositive. Colori diversi per le stanze e per le didascalie, realizzate con semplicità e precisione mirando a una comprensione rapida e intuitiva sia da parte del pubblico giovanile che di quello adulto, anche attraverso l’uso della tecnologia con un video in 3D che ricostruisce un tempio etrusco. Informazioni chiare sugli oggetti d’uso più comune, le anfore, le lucerne, curiosità legate agli usi e ai costumi quotidiani, le offerte votive per gli dei o l’uso dello strigile, un raschietto di metallo usato dagli atleti dopo le competizioni per eliminare l’eccesso di sudore e polvere e dalle donne etrusche per rimuovere l’olio d’oliva che usavano come crema per la pelle. Tra gli oggetti più interessanti, la statuetta di Minerva, donata a Padre De Feis dal marchese Carlo Strozzi e proveniente da Siena, un gruppo di bronzi dell’Etruria Meridionale, ceramiche di bucchero decorate e il sarcofago in terracotta con immagine femminile distesa sul letto funebre, prodotto seriale di officina specializzata, affettuosamente denominato “Madama de Feis”.
Il museo archeologico è aperto al pubblico e alle scuole su richiesta dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 13.00 e per i gruppi anche il sabato e la domenica. L’ingresso è gratuito e su prenotazione al numero 081 575 7533.
Un incontro emozionante che rappresenta non solo un approfondimento scientifico, che si concretizzerà con la pubblicazione di un catalogo, ma un viaggio alla riscoperta delle nostre radici multietniche e della storia del nostro presente. “Il museo deve introdurre la gente in un mondo speciale, – scrive Roberto Peregalli – in cui le opere dei morti dialogano con gli sguardi dei vivi, in un confronto duraturo e fecondo”. Si pensa a questa corrispondenza di sensi visitando l’allestimento, un’occasione per fare del museo e dell’Istituto Denza un altro luogo di confronto culturale in questa città millenaria.