È la notizia più calda degli ultimi giorni, eppure, la sua prevedibilità non sorprende la maggior parte degli italiani e degli addetti ai lavori, in particolar modo quella fetta di elettori (e non) che alla coalizione MoVimento 5 Stelle-Lega non ha mai offerto credito. Che l’accozzaglia politica firmata da Luigi Di Maio e Matteo Salvini appena un anno fa avesse una data di scadenza a breve termine, associabile al momento in cui il leader padano avrebbe fatto dei grillini le marionette da controllare come nel più classico show di ventriloquia, era una previsione difficile soltanto per chi ai pentastellati aveva affidato il proprio malcontento come al Padre Eterno le preghiere la notte.
L’asse gialloverde, finalmente, smonta il teatrino tirato su ad arte per cavalcare le paranoie di cui il popolo italiano è ormai affetto, per fomentare l’odio e il livore di cui i villeggianti d’agosto del Bel Paese dimostrano sempre più di volersi cibare. E, allora, il celebre contratto è diventato il sipario dietro al quale nascondere le nefandezze attuate a dispetto di ogni diritto umano e sociale, nel buio più adatto ad alimentare il fascismo tornato a parlare per bocca del Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che dalle spiagge scioglie idealmente le Camere, apre la crisi di governo e chiede pieni poteri nella sua lotta ai democratici come – e per certi versi peggio se si considera il periodo storico – Mussolini e Hitler prima di lui.
Il Vicepremier in camicia verde, infatti, nel silurare il collega Di Maio adoperando la TAV come scusa della rottura (TAV che non avrebbe fatto saltare l’esecutivo siccome il Carroccio avrebbe potuto contare sul sì del PD per la realizzazione dell’opera in Val di Susa) lancia la sfida non solo ai non più graditi coinquilini, ma indica come suoi antagonisti i principi democratici su cui fonda l’Italia dal dopoguerra, quelli su cui la Costituzione repubblicana nata dalla lotta partigiana vigila a difesa di quei diritti che Salvini intende gettare in pasto all’ottusità dei suoi commentatori seriali sui social. La battaglia del dj a tempo determinato della discoteca Papeete punta le armi, dunque, contro quelle norme che ancora gli impediscono di completare la sua Marcia su Roma, la criminalizzazione della diversità e, presto, del pensiero ostile.
Nuove elezioni sembrano già scorgersi all’orizzonte, con la Lega che – trovassero conferma i sondaggi – guadagnerebbe la maggioranza assoluta del Parlamento, ancor più se in coalizione con l’altra forza nera guidata da Giorgia Meloni e il mai stanco Silvio Berlusconi, pronto a salire su questo nuovo carro che potrebbe riportarlo nelle istituzioni. L’alternativa alla resa c’è, ma le forze in gioco che potrebbero garantire al Paese altri quattro anni di un esecutivo che faccia da argine all’onda sovranista, il MoVimento e il PD, sembrano troppo impegnate a specchiarsi in un vetro che riflette una realtà distorta, uno specchio delle mie brame che a ognuno dei leader in corsa risponde sei tu alla domanda che incoronava Biancaneve nella favola della Disney.
Manco a dirlo, l’aggeggio magico che più vanta il bronzo che gli si para davanti è quello del Senatore Matteo Renzi, convinto dal proprio riflesso che la più bella del reame sia ancora la propria effige. Calenda tende la mano a Beppe Grillo dopo le frizioni che impedirono, un anno fa, a dem e pentastellati di lasciare la destra fuori dai giochi di palazzo. Il centrosinistra, in ogni caso, sembra diretto all’ennesima spaccatura. Dalla stessa ipotesi sembra essere affascinato anche il Presidente della Camera, Roberto Fico, e – a dirla tutta – qualunque cittadino di buonsenso che non provi una sconosciuta nostalgia di quando c’era LVI spinge, oggi, per l’improbabile nuova alleanza.
Rimandare il voto previsto già per ottobre, infatti, potrebbe significare dare all’Italia un governo forse non stabile, ma quantomeno responsabile nel guardare a quelle finanze che fanno spavento, al debito sempre in aumento, a crescita zero, e aggiustare il tiro in tempo per evitare le sanzioni che l’UE intenderà imporre. Chiunque siederà al posto del Premier Conte sarà, dunque, costretto a rimpinzare le casse statali con nuove tasse e/o l’aumento – forse non più scongiurabile – dell’IVA. Ed è proprio l’impopolarità di questa prossima manovra che spinge tutte i partiti a guardare alla possibilità di un ritorno alle urne: parlare chiaro all’elettorato, ammettere i disastri adoperati dai pentaleghisti negli ultimi dodici mesi di insulsa guerra all’Europa, improbabili redditi di cittadinanza e riforma delle pensioni a Quota 100, nei piani di M5S e PD potrebbe tradursi in un ulteriore calo nei consensi, a maggior ragione se anche la nuova maggioranza non dovesse tenere a lungo.
Premesso questo, però, il neo Segretario dell’ex Ulivo, Zingaretti, e chiunque prenderà le redini del MoVimento farebbero bene a comprendere che quasi quattro anni di una nuova legislatura in grado di far ripartire l’economia e, soprattutto, di scongiurare l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica a esclusivo appannaggio della destra di Salvini potrebbe valere qualunque perdita di fascino agli occhi dei pochi elettori che ancora credono alla democrazia come alternativa all’odio del nuovo fascismo. Saranno tanto maturi? Difficile da credere. D’altronde che l’interesse nazionale si sia dimostrato un valore secondario per qualunque dei gruppi alternatisi a Montecitorio e Palazzo Madama è un dato di fatto di cui i partiti non hanno certo bisogno di darci conferma.
Qualora una nuova chiamata alle cabine elettorali non sarà scongiurabile, allora, sarà compito della sinistra e dei 5 Stelle limitare i danni e proporre un’alternativa credibile, selezionare un capo di coalizione capace di unire anziché incoraggiare inutili scissioni che favorirebbero l’onda nera. A tal proposito, ieri mattina, il Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, si è detto pronto a proporre la propria candidatura, strizzando l’occhio proprio alla compagine guidata dalla strana coppia Di Maio-Di Battista e, perché no, a qualunque forza antifascista che intenda proporsi in opposizione a Salvini.
Certo, a scandagliare l’elenco dei probabili antagonisti della destra sovranista viene voglia di controllare la scadenza del proprio passaporto e seguire le migliaia di giovani che all’Italia decidono di non affidare più le sorti del proprio futuro. Nessuna speranza, nessun volto sembra credibile e chissà che il ribelle Primo Cittadino partenopeo, che già ha dimostrato di saper controbattere qualunque forza politica avversa con l’aiuto delle associazioni, dei cittadini, della forza popolare, non riesca nell’intento di mettere i bastoni tra le ruote al trio Salvini, Meloni, Berlusconi. L’entusiasmo capace di generare il suo movimento arancione può offrire un nuovo colore di cui dipingere il domani italiano? Il nero, già lo sappiamo, non si addice alla nostra storia.