Da lunedì 29 luglio, il pianeta Terra è in riserva: c’è stato l’Earth Overshoot Day, che non è una giornata in cui si celebra una festa, bensì quella che ci segnala il sovrasfruttamento del globo terracqueo con il quale abbiamo esaurito tutte le energie e le risorse ambientali rigenerate dagli ecosistemi a nostra disposizione nel 2019. E per i prossimi mesi, di conseguenza, consumeremo le risorse che avremmo dovuto usare nel 2020.
L’informazione ci è stata puntualmente fornita dal Global Footprint Network, l’organizzazione di ricerca internazionale che controlla l’impronta ecologica dell’uomo e lo sfruttamento delle risorse naturali. Negli ultimi decenni, il pianeta è andato “in rosso” sempre prima rispetto ai dodici mesi precedenti. L’anno scorso è capitato nel primo giorno di agosto, mentre venti anni fa, per fare un esempio di lungo periodo, il giorno in cui gli esseri umani cominciarono a bruciare il loro futuro fu stimato e indicato alla fine di settembre.
L’avvilimento globale diventa sconforto locale, inoltre, quando apprendiamo che l’Italia ha raggiunto il suo Overshoot Day 2019 già il 15 maggio. In parole più semplici, mentre il mondo consuma mediamente – per l’anno in corso – risorse pari a quelle di 1.75 pianeti per soddisfare i consumi dei suoi abitanti, allo Stivale occorrono addirittura quelle di 4.7 Paesi. L’analisi di fondo ci racconta di una nazione dove il rapporto fra la quantità delle risorse naturali pro capite e la quantità dei consumi di ogni singola persona è sbilanciato quando si consumano energie e risorse più che in altre zone d’Europa e del mondo. Il primato planetario per il Paese più consumatore, comunque, spetta agli Stati Uniti, e poi di seguito vengono gli altri Stati che condividono la stessa concezione dello sviluppo produttivo, distributivo e soprattutto lo stile di vita “occidentale”, che oggi domina l’intero sistema-mondo ed è estremamente energivoro, consumistico e utilizza risorse non rinnovabili.
Che fare, allora, per invertire un processo in atto che può portare a sconvolgimenti drammatici in vaste aree della Terra, come già sta avvenendo per i fenomeni legati al cambiamento climatico? L’allarme annuale del Global Footprint Network rappresenta l’ennesima occasione da non perdere per riflettere sul sistema di produzione e consumo a cui siamo abituati, caratterizzato dell’insensato sviluppo senza limiti su di un pianeta dalle risorse limitate. L’associazione ha promosso – in concerto con altre 30 organizzazioni che si occupano del benessere della Terra, delle risorse naturali e degli esseri viventi – la campagna Steps to #MoveTheDate, che invita all’attenzione sui cinque passi o punti-chiave dai quali i governi e la società civile devono iniziare il cambiamento di rotta: energia, alimentazione, città, popolazione e pianeta.
Le emissioni di CO2, causate dalle attività inquinanti della produzione industriale in generale e di quella degli allevamenti in particolare devono essere ridotte drasticamente, ci dicono gli esperti, e nel breve periodo. È necessaria un’inversione di tendenza planetaria, inoltre, che abbandoni l’uso delle fonti fossili per la produzione dell’energia a favore di quelle rinnovabili, come il solare, l’eolico e il geotermico. Bisogna abbandonare, in breve, lo stile “predatorio” a cui siamo abituati che ci ha portato alla crisi ambientale e sociale in atto nel mondo.
La svolta deve essere attuata anche mediante una sistematica azione di informazione/formazione dei cittadini per favorire una cultura dell’economia e della società ecosostenibile, prima che la crisi raggiunga un punto di non ritorno, che alcuni scienziati hanno indicato alla metà del XXI secolo, quando gli effetti della crisi ecologica potrebbero raggiungere una dimensione non più reversibile con scenari fisici, economico-sociali ed esistenziali non del tutto prevedibili, ma sicuramente drammatici. Gli scienziati e gli osservatori delle politiche ambientali e sociali hanno da tempo dichiarato che lo stato di salute della Terra è grave: la sicurezza e il benessere degli oltre 7 miliardi di abitanti attuali e delle prossime generazioni sono in pericolo.
L’informazione e la sensibilizzazione dei cittadini sulle tematiche ambientali non basta, infine, se non è accolta e assecondata dalle governance degli Stati del mondo, che mostrino la volontà e la capacità di sottrarsi al potere degli interessi economico-finanziari transnazionali che impediscono il cambiamento delle scelte pubbliche delle nazioni, in nome dei loro elevati e immediati profitti. Le istituzioni politiche e quelle della società civile devono mettere nell’agenda delle azioni quotidiane e di lungo periodo la salvaguardia del pianeta, delle sue risorse e dei diritti delle future generazioni.