La Grecia torna al suo più recente passato, in un lasso di tempo forse fin troppo breve per pensare che le pedine sullo scacchiere di uno degli Stati più complessi d’Europa – in quanto ad amministrazione e finanza – siano cambiate e che le partite da giocare tra i propri confini e in Commissione Europea non abbiano più alcun punto di contatto con quelle perse rovinosamente soltanto tra il 2013 e il 2015. Il popolo del Peloponneso, chiamato al voto in anticipo rispetto alla data prevista per le elezioni, torna a dare fiducia agli uomini che appena quattro anni fa decretarono il fallimento della penisola culla della cultura antica e la conseguente affermazione di Alexis Tsipras, il centrodestra di Nea Dimokratia torna al governo.
Per capire le ragioni di quella che, apparentemente, sembra una scelta priva di ogni logica e buonsenso – e non è detto che non lo sia – tocca riavvolgere il nastro proprio fino al 2015, stagione che vide la sinistra radicale prendere le redini di un Paese drammaticamente indebitato e non più in grado di offrire servizi e opportunità di rilancio dell’economia ai propri cittadini. La destra deteneva la maggioranza del parlamento ellenico, ma le gravissime condizioni delle finanze nazionali e l’impossibilità di rispettare gli accordi con i creditori continentali portarono al rovesciamento delle Camere e alla reazione del popolo greco che diede credito alle promesse di Tsipras e Varoufakis di non piegarsi ulteriormente alla morsa imposta dalla Troika e liberare l’isola anche a costo di abbandonare l’Unione.
Ciò che accadde all’indomani del plebiscito che, bandiere rosse alla mano, affidò al giovane rivoluzionario le sorti di Atene fu un susseguirsi di avvenimenti che screditarono Alexis Tsipras di fronte al suo popolo e tenuto, comunque, la Grecia al guinzaglio della Germania. Incapace di compiere quanto annunciato in materia di economia, il leader di Syriza accettò un prestito internazionale a condizioni dure quasi quanto le precedenti, salutando il Ministro delle Finanze Yanis Varoufakis e adottando ogni richiesta dei creditori, dal rialzo delle tasse ai tagli alla spesa.
Circa il 15% delle famiglie, in Grecia, vive sotto la soglia di povertà, poco importa, dunque, se nel corso del suo mandato Tsipras sia riuscito nel compito di raggiungere e superare gli obiettivi imposti dalla Commissione continentale e varare, così, inaspettate misure redistributive destinate in particolare ai pensionati, ai più poveri, e persino agli investitori, i greci hanno presto affidato le sorti del loro prossimo futuro a chi meglio ha saputo approfittare delle continue divisioni interne al partito radicale e calcare la mano sui temi caldi oramai in tutta Europa, come l’immigrazione, dipinta – guarda caso il copione è sempre lo stesso – come un rischio per le poche risorse presenti e da destinare, pertanto, esclusivamente ai nati sotto la bandiera a strisce bianche e blu.
Kyriakos Mitsotakis sarà dunque il nuovo leader del governo ellenico, un armatore appartenente a una delle famiglie più ricche della penisola. Difensore del nazionalismo greco – pur senza l’appoggio di Alba Dorata, drasticamente ridimensionata dal voto politico – il prossimo Premier ha proposto un futuro fatto di tagli alle tasse per imprese e investitori dal 28 al 20%, e strizzato l’occhio alle classi più agiate, dimezzando l’imposta sui redditi frutto di dividendi azionari dal 10 al 5%.
Viene, certo, da chiedersi dove la Nea Dimokratia troverà le risorse necessarie a misure così importanti di rilancio dell’economia come quelle sbandierate in campagna elettorale e quale sarà, dunque, la reazione di Angela Merkel e creditori tutti, che al centrodestra di Atene sono legati da ricordi ancora troppo recenti di crisi finanziarie per offrirgli fiducia e nuove condizioni di credito. Mitsotakis – come ogni buon sovranista che si rispetti – ha già giurato battaglia a Germania e Unione Europea, e tacciato il suo predecessore di codardia rispetto alla stretta che, di fatto, avrà anche rimesso il Paese in condizione di aprire a nuovi investimenti, tralasciando, però, il benessere dei suoi concittadini, uniche, vere vittime delle manovre adoperate nel corso del suo esecutivo.
Certo la Grecia non è mai uscita dalla crisi che costò proprio al centrodestra il governo del Paese e non vi è dubbio che, in caso di Stati indebitati al punto di dover cedere al controllo di altre nazioni persino i propri aeroporti, a pagare il prezzo delle scelte scellerate e criminali della politica siano sempre e solo le classi più deboli, disagiate, quelle su cui, poi, montare la prossima campagna elettorale facendo peso sulle paure che la mancanza di futuro è in grado di generare. Alexis Tsipras paga – forse giustamente – l’arroganza con cui si promise avversario delle austerità salvo poi piegare la testa di fronte a quegli obblighi da cui – è bene che anche qui in Italia si apprenda presto – nessun debitore può deliberatamente sfuggire. È vero pure, però, che proprio ora che un soffio di aria nuova, seppur appena percettibile, spira su Atene, affidarsi a chi ha generato tanta sofferenza sembra una scelta dettata unicamente da rabbia, disillusione e paure opportunamente affamate.
Il destino della Grecia, nei prossimi anni, non determinerà soltanto le sorti della terra compresa tra il Mar Ionio e l’Egeo, ma dell’intero sistema Europa, con l’Italia – tristemente vicina alle vicende finanziarie elleniche – spettatrice interessata. La presenza di Tsipras come ponte del dialogo con la UE avrebbe potuto essere garanzia, o quantomeno speranza, di quel cambiamento di cui questa nuova Unione Europea ha necessariamente bisogno. Ancora una volta, la storia lo insegna, il destino del Mediterraneo e del Vecchio Continente potrebbe passare proprio di lì.