Indagateci tutti. Come Carola Rackete, il capitano di cui vorremmo avere il coraggio. Indagateci perché per noi la Sea-Watch non avrebbe dovuto essere altrove se non ancora più vicina alle coste di Lampedusa, vuota di quei passeggeri stremati dal viaggio, dalla disperazione, dai giorni più caldi dell’anno. Indagateci perché abbiamo raccolto più di 300mila euro in pochissime ore e continueremo a farlo, cosicché nessuno possa dirci che siamo bravi a indignarci soltanto sui social. Noi, gli stessi che hanno donato anche quando si è trattato di ricostruire L’Aquila, Rigopiano, Amatrice, Ischia, soldi spariti nel nulla, soldi spariti come le tasse che quotidianamente paghiamo per manutenzione e controllo dei nostri fragili territori. Soldi che probabilmente avrete messo a disposizione anche voi, ma di cui non vi importa chiedere tornaconto. Alla faccia del prima gli italiani che urlate in maiuscolo.
Indagateci perché siamo sbruffoncelli che fanno politica, figli di un papà che ci ha insegnato il solo, vero e non negoziabile valore: la solidarietà. Indagateci perché crediamo in un mondo che esiste pure se lo tengono nascosto, lontano dai raggi del sole, come il sottobosco, di certo non per proteggerlo. Un mondo dove non è reato aiutarsi, provare empatia, salvare vite, subordinare la propria a quella dell’altro, farsene carico e regalo, un mondo dove se vale la pena rischiare, noi ci giochiamo anche l’ultimo frammento di cuore. E non perché siamo eroi, ma perché siamo esseri umani. Come voi, voi che ci giudicate e che augurate la morte al vostro prossimo, ignari che un giorno futuro (o passato) quel prossimo sarete (o sarete stati) voi. Prima o poi, lo siamo tutti. È fortuna, caso puro, nulla di più.
Indagateci, indagateci tutti. Perché tutti, così facendo, abbiamo sostenuto e sosterremo l’immigrazione. Anche clandestina, se si tratta di scappare dalla fame, dalla guerra, dalla tortura, se non c’è altra via d’uscita. Indagateci, ma poi cercate le cause, quelle serie, pretendete verità, ascoltate le storie di chi le subisce, non di chi le determina. Aprite i porti per aprire la mente o viceversa, va bene lo stesso, ma non chiudetevi al mondo, alla sua ingiustizia che vi pare giusta e, invece, lo è solo nella vostra versione dei fatti, quella filtrata da una propaganda ancor prima che partitica, estremamente capitalista. Un braccio di ferro con se stessi nel gioco della vita altrui, ostaggio dell’Italia come dell’Europa, ma anche del resto di un mondo dove ogni giorno disperati che attraversano il Mediterraneo o chissà quali altre acque azzardano la pelle per sperare di veder crescere la loro bambina. E, invece, il più delle volte annega.
È il gioco di una campagna elettorale che non può finire, non adesso, forse non finirà mai. Perché il sistema è fallito, fallisce sempre. Lo dicono le grandi guerre della storia, i libri che non vogliamo leggere: così nascono i conflitti, cosi muoiono gli uomini. Gli uni contro gli altri, amici di un nemico che non riconoscono, nemici di un amico che non possono accettare per non impazzire. Non siate complici di questo ennesimo genocidio, Norimberga è dietro l’angolo di ogni coscienza, a un certo punto dovrete per forza svoltarlo. Piuttosto, siate complici del delitto più rivoluzionario di tutti: la fratellanza. O si sta di qua o si sta di là. Ma è sempre più semplice scegliere di stare al fianco della ferocia, della violenza, della sopraffazione.
«La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare tre università, sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto, ho sentito un obbligo morale: aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità». In fondo, lo diceva pure San Francesco seguendo Gesù Cristo, magari il vostro Dio. Ma a lui non avete augurato lo stupro, come a Carola Rackete, non gli avete contestato facili costumi, non ne avete chiesto la testa, la sua scelta l’avete ammirata. Lui un santo, l’altra la solita puttana. Lui un uomo, lei una donna. Lui in un passato lontano, lei nel presente che vi tocca indirizzare.
Mettete da parte i politici, non la politica, i primi pensano a sé, la seconda la fate voi. Mettete da parte i Minniti e i Salvini di turno, ma pure i sinistri che adesso fanno della Sea-Watch una propria battaglia. E, invece, non lo è perché alla guerra hanno contribuito eccome. Non caschiamoci, è pura strategia. Voti che si spostano mentre le persone attendono. E muoiono. Quaranta stipate su un’imbarcazione ormai stretta, riparate dal caldo rovente con un telo di plastica beige improvvisato per non cedere all’afa, a un sole violento che debilita e stordisce. Quaranta persone aggrappate alla speranza e rifiutate dalla vita, costrette da quasi venti giorni agli umori di un mare grande almeno quanto il dolore che hanno conosciuto. La scorsa notte un ragazzino di appena 11 anni ha toccato terra, probabilmente trasferito al primo hotspot disponibile. Suo fratello più grande, invece, lo hanno portato presso l’ambulatorio dell’isola. Lui era il più piccolo dei naufraghi, forse il meno spaventato, incapace, alla sua età, di accettare la quantità di cattiveria che l’uomo sa riversare su un suo simile. Lui, il più piccolo dei naufraghi, che però di cattiveria ne ha vista molta più di quanta potremo mai percepirne noi in una vita intera. Che futuro avrà? In che modo diventerà grande? Sarà colpa sua la sofferenza che si porterà dietro? O sarà del capitano Carola Rackete che ha tentato di portarlo in salvo? Sarà colpa nostra o vostra?
Se per voi la risposta è lui che si è messo in viaggio in cerca di sopravvivenza o siamo noi che vorremmo provare ad alleviarne le ferite, a piantare fiori nuovi nel suo giardino, indagateci. Indagateci tutti. Perché colpevole è chi a tempi che chiedono azione ribatte con indifferenza. Colpevole è chi emana un decreto (in)sicurezza con la pancia, con la prepotenza dell’onnipotenza, con la prosopopea del comando e non della guida. Colpevole è chi prova gioia nel vedere un padre e la sua bambina riversi in un fiume al confine con la più fantomatica delle democrazie, nel sapere di un barcone capovolto, nel parodizzare un infante dalla maglietta rossa.
Indagateci, allora, indagateci tutti. Perché nessuna legge verrà prima dei diritti dell’uomo. Nessuna legge si sostituirà al buon senso, all’umana pietas. Nessuna legge ci dirà di voltare il capo, di ignorarne le conseguenze, di non guardare all’uomo che soffre. Perché, come nel riflesso di uno specchio, tutti i naufraghi sono stati naviganti, tutti i naviganti potrebbero diventare naufraghi. Indagateci, indagateci tutti. Avete ragione, siamo criminali. Ma ora non neghiamo ancora vita.