L’impressione che ognuno ha di sé, fondamentale nella costruzione dell’identità, è spesso molto diversa dalla percezione che hanno gli altri. La prospettiva, infatti, è decisiva nell’impressione delle tante facce che l’identità può avere. Questa consapevolezza, insieme ai tentativi di distruggere le molteplici immagini del sé percepite da terzi, è ciò che ha portato il protagonista di Uno, Nessuno e Centomila alla follia. Eppure, il personaggio pirandelliano era estraneo a quel mondo virtuale che, a qualche decennio dalla sua creazione, avrebbe stravolto la costruzione della propria individualità.
Sin dagli albori dell’identità virtuale, sin dal primo social network entrato in funzione, qualcosa è cambiato nelle dinamiche sociali e nei processi di costruzione identitaria. È nato un sé diverso, costruito intenzionalmente dagli individui/utenti che creano le loro personalità in base al contesto e all’uso che intendono farne. Quasi del tutto superato il dilemma tra apocalittici e integrati – cioè tra chi accetta e si integra e chi critica la cultura di massa –, ormai i social sono parte della vita quotidiana. Adoperati dal 57% degli italiani, non più solo giovani, stanno rivelando utilità inaspettate.
Insomma, le cose sono cambiate dai tempi di My Space, ma non solo per quanto riguarda l’opinione generale nei confronti delle nuove piattaforme. Anche il modo in cui esse vengono adoperate nella costruzione dell’identità si sta evolvendo. Agli albori dello spazio virtuale, gli utenti erano individui diversi nella realtà e tra i rami del web, non a caso il primissimo My Space era costellato di pseudonimi e account falsi. Si è consolidata, così, l’idea di una doppia identità, una naturale, della vita vera, e una virtuale, realizzata a proprio piacimento. La contrapposizione tra i due sé sembrava molto più netta di quanto in realtà fosse. Certamente si trattava di un’identità non del tutto autentica, ma creata per fare buona impressione, contrapponendo irrimediabilmente il sé desiderato al sé incarnato, costruita in modo da mostrare le parti migliori della propria persona perché la sua percezione poteva essere manipolata dall’utente/individuo stesso. Con il tempo, invece, il sé virtuale è diventato sempre più simile al sé in carne e ossa, più sincero nella sua costituzione identitaria, non eliminando, però, la differenza più evidente: sui social network si decide cosa mostrare.
Ma nonostante di questi ultimi si stiano sdoganando il ruolo e l’utilizzo nella vita quotidiana, restano, purtroppo, degli aspetti negativi, relativi a un uso scorretto, se non addirittura pericoloso, delle nuove piattaforme. Primo tra tutti il fenomeno delle filter bubble, quell’utilizzo cieco che impedisce l’apertura di vedute. Gli algoritmi che coordinano i social – e i motori di ricerca – gestiscono la priorità con cui le notizie e i risultati appaiano all’utente, in modo da mostrargli ciò che è più simile ai suoi comportamenti e, inevitabilmente, ai suoi modi di pensare. In questa maniera è quasi impossibile, nel mondo della rete, imbattersi in opinioni diverse dalle proprie, utilizzando dei filtri introvabili nella vita reale. Ma, forse, la più grave delle conseguenze riguarda la sicurezza fisica. Il bisogno di essere costantemente connessi conduce, molto spesso, ad accedere e produrre contenuti online anche in momenti inappropriati, come mentre si è alla guida. Dilaga, infatti, su Instagram il fenomeno delle story mentre si è in auto, riprendendo la strada, la radio o il tachimetro. Una pratica che fa dell’apparire una priorità sulla sicurezza e che, oltre a essere moralmente discutibile – soprattutto quando si tratta di personaggi molto seguiti – è anche indubbiamente pericolosa.
Aspetti negativi a parte, il ricorso all’identità virtuale si fa sempre più frequente nel tipo di mondo che abitiamo oggi. Eppure, continuiamo a contrapporre reale e virtuale, nonostante ormai le due componenti – della vita e dell’identità – si stiano contaminando a vicenda, arrivando a costituire diversi aspetti della stessa individualità. Certo, l’attenzione dedicata all’apparenza ha un ruolo fondamentale nella definizione dell’io online, eppure sembra inappropriato etichettarlo soltanto come luogo di egocentrismo. In effetti, il costante tentativo di fare buona impressione sposta i riflettori dall’ego agli altri: l’importanza è concentrata sugli spettatori ai quali si cerca di offrire la migliore immagine di sé in attesa di un giudizio. Il concetto stesso di identità, infatti, fa riferimento alla percezione che l’individuo ha della propria persona in quanto membro di un gruppo. La costruzione dell’io in qualunque forma, quindi, è sempre relativa all’ambiente. Ambiente inteso come società, come altro da sé con cui confrontarsi.
Contrariamente a quanto si pensava all’inizio, il ruolo della tecnologia non è solo quella di fornire un supporto alle attività del soggetto e potenziarne la producibilità. Fondamentale si è rivelato nell’inserirlo in un reticolo – la rete, il web – rendendolo membro di un’esperienza collettiva. Ed è proprio nella collettività e nel rapporto con gli altri che l’individuo trova se stesso. Il rischio, però, è perdersi del tutto nell’opinione altrui.