«È un evento di civiltà. Siamo orgogliosi». Ha salutato così, ieri mattina, Rita Dalla Chiesa la notizia giunta direttamente dalle aule degli istituti scolastici italiani dove i ragazzi delle classi quinte erano impegnati nella prima prova dell’esame di maturità: la traccia dedicata al tema d’attualità aveva come protagonista suo padre, il generale dei carabinieri Dalla Chiesa, martire dello Stato, ucciso nel 1982 a Palermo per mano della mafia.
A pochi giorni dall’atto vandalico registrato nello stesso capoluogo siciliano che ha visto il danneggiamento della targa dedicata a Peppino Impastato, la scuola – tanto bistrattata da qualunque formazione prenda le redini del governo del Paese – ha offerto una prima risposta a un fenomeno, quello mafioso, che non solo non ha mai smesso di controllare e determinare l’andare quotidiano dei territori su cui insiste storicamente, ma che ha ormai allargato le proprie metastasi a ogni organo dello Stato, muovendo i fili di politica e istituzioni.
«Cancelleremo la mafia nel giro di qualche mese», esclamò Matteo Salvini, il Ministro dell’Interno, forse non appropriatamente istruito in merito alla potenza e presenza dei clan sul suolo italiano, forse in malafede, stando ai depistaggi offerti su un vassoio d’argento agli affiliati oggetto delle indagini diramate dal Vicepremier via social mentre ancora in corso di svolgimento – a uso e consumo soltanto della sua quotidiana e costante propaganda – oppure considerando le continue notizie di cronaca che associano il nome della Lega alle nuove formazioni criminali, dall’inchiesta de L’Espresso che ha svelato i rapporti tra i rappresentanti del partito in Calabria e la ‘ndrangheta, all’ultima indiscrezione di alcuni quotidiani secondo cui, a sud di Roma, il Carroccio avrebbe beneficiato dei servigi della mafia rom in campagna elettorale, non dimenticandosi del caso Siri che ha rischiato di minare la stabilità dell’esecutivo. I fatti, a ogni modo, a sei mesi da quella boutade, dimostrano non solo che la strada da fare è ancora tremendamente lunga, ma fanno credere che difficilmente Salvini la imboccherà con lo stesso trattore con cui è passato sopra a Sprar e simboli dell’accoglienza.
Agli studenti italiani è stato offerto, dunque, con il tema dedicato a Dalla Chiesa, uno strumento di critica e cultura, le uniche vere armi contro il sistema mafioso, purché non ci si fermi esclusivamente alla stesura di qualche riga ben confezionata per il raggiungimento del voto sperato. L’ignoranza rispetto al passato, alle dinamiche della criminalità organizzata, alle morti che la mafia ha iscritto alla storia d’Italia per entrare nelle istituzioni e controllarle, è ciò di cui i clan si cibano, come ha ricordato anche Nando, figlio del generale dell’arma, soddisfatto per la scelta del Ministero di affrontare l’argomento nelle aule in sede d’esame: «Uno degli obiettivi della mafia è far dimenticare le vittime e che sia entrato nel tema è un fatto civile di grande portata. Ed è anche la dimostrazione della capacità della società italiana di rifiutare l’imperativo dell’omertà e del silenzio. Una volte le vittime erano dimenticate e non se ne poteva parlare. Ora no».
L’importanza della traccia d’attualità assume, quindi, un valore incalcolabile se si somma la curiosità dei ragazzi verso la cronaca nera che ha sconvolto e segnato il passato d’Italia e, così, il loro presente, alle battaglie che le nuove generazioni del mondo intero stanno conducendo in favore dell’ambiente. Forse mai, dopo il ’68, un’ondata di giovanissimi aveva più occupato le strade, fatto proprio un ideale, perseguendolo anche a rischio di vedersi portare via dalle strade in manette (nei Paesi civili come l’Olanda o la Gran Bretagna) o con il volto coperto di sangue (come invece raccontano i reportage dalle manifestazioni del nostro Stivale).
Non bastano le commemorazioni, non basta riunirsi ogni anno sotto l’albero dedicato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a ricordarne le gesta, non bastano lenzuoli bianchi stesi ai balconi o speciali in TV. Dove lo Stato non è mai arrivato e dove mai arriverà, la scuola e la coscienza degli adolescenti possono togliere ossigeno e braccia alle mafie. Non basta – come detto – neppure un tema della maturità che abbia per protagonista il generale dei carabinieri Dalla Chiesa, anche se il fatto assume la forma di una base da fissare con attenzione per poi provare a costruirci sopra il domani. Non deve bastare perché – come da tradizione per questo Paese – il rischio che ci si crogioli nella straordinarietà dell’evento riduca l’evento stesso a una notizia da prima pagina. Bisogna offrire ai ragazzi strumenti di conoscenza supportati da istituti in grado di garantire un’alternativa concreta alla strada. Servono fondi, strutture, programmi di integrazione con impianti e società sportive, con il mondo del lavoro, un dialogo aperto e costante con le famiglie, manca la politica e chi se ne assume la responsabilità.
Anzi, è proprio in contrapposizione al modo odierno di fare politica che il tema e la vita di Dalla Chiesa devono fare da ispirazione. I giovani sono chiamati a chiedere risposte che per trent’anni i loro genitori, i fratelli più grandi hanno dimenticato di pretendere in nome di un progresso che non ha offerto ciò che prometteva, di un boom economico che, di fatto, ha prodotto cambiali e povertà per quanto concerne ogni aspetto dell’esistenza: lavorativo, salariale, sociale, interpersonale, solidale. Chiedere il conto a questa classe dirigenziale potrebbe voler dire tenere ai margini dei canali economici le mafie, oggi non più interessate a spargere sangue piuttosto a stendere cemento. Il futuro della lotta alla criminalità organizzata, per quanto tristemente utopica, può nutrire le sue poche speranze soltanto se si affida alla scuola, all’istruzione, a nuovi manager e a rinnovate coscienze.