Sono trascorse appena due settimane dal voto europeo del 26 maggio, dalla rovinosa caduta dei 5 stelle e conseguente affermazione della Lega, quindici giorni, però, che hanno continuato a raccontare di litigi tra i banchi del governo e uscite pubbliche dei rappresentanti delle istituzioni come se la campagna elettorale non fosse mai terminata. Di lavoro, provvedimenti, azioni volte alla risoluzione dei problemi che tengono incatenato il Paese è diventato impresa ardua trovare traccia, mentre palchi e salotti tv non hanno mai sofferto la mancanza dei leader di casa nostra.
È triste affermarlo ogni volta e non essere mai smentiti dai fatti, ma in Italia – ormai è chiaro – il potere si amministra solo ed esclusivamente così, tastando la percezione che l’elettorato ha dei fatti di cronaca più rilevanti e facendo continuamente forza su di essa, come un frutto da cui tirare fuori tutto il succo possibile prima di passare al prossimo da strapazzare.
Matteo Salvini, incaricato da un plebiscito del 34% degli italiani a portare in Europa la sua versione della UE, specialmente per ciò che riguarda l’immigrazione e il mercato estero dei prodotti nostrani, ha infatti disertato per la sesta volta su sette il vertice di Bruxelles. L’agenda, per l’occasione, prevedeva una discussione proprio circa i temi cari alla propaganda leghista: la riforma di Dublino, i rimpatri e le misure antiterrorismo. Tuttavia, il Ministro dell’Interno ha preferito al lavoro e alla servitù che dovrebbe al proprio Paese l’ennesima comparsata alla corte di Barbara D’Urso.
Certo, viene da chiedersi quando la pazienza degli italiani – rapidamente sfumata per questioni affini (utilizzo di fondi pubblici per affari privati, assenteismo, privilegi) nei riguardi dei partiti del centrosinistra – lascerà a piedi anche l’attuale Vicepremier in camicia verde anziché, come accade, esultare a ogni suo bacio alla Madonna e a ogni morso al pane con la cioccolata, ma la realtà – come detto – dimostra che la strategia della propaganda è l’unica che garantisce consenso.
Tattica, quella pubblicitaria a prescindere dai contenuti, di cui è maestra anche l’altra metà della maggioranza, il MoVimento 5 Stelle, che del condizionamento ideologico sulla base di un inasprimento dei toni trascurando la materia degli argomenti gettati in pasto alla folla ha fatto il motivo della propria scalata al potere. In tal direzione va letta, a proposito, la trovata di cinquantotto senatori grillini che nella giornata di venerdì hanno chiesto un’interrogazione al fine di commissariare la città di Napoli, destituendo il Sindaco legittimamente eletto – anche questo tema adoperato a convenienza – Luigi de Magistris.
Altro che alleanza DemA-5 Stelle, altro che accordo de Magistris-Fico, in ottica delle prossime elezioni regionali e comunali, con i due movimenti politici pronti a spalleggiarsi nella sfida al PD e a Vincenzo De Luca. Quella che già appariva come un’improbabile stretta di mano tra due forze che, stante ai curricula, hanno condotto battaglie diametralmente opposte per ciò che riguarda inclusione, sviluppo, diritti civili, uguaglianze sociali, una contro tutti (DemA), l’altra strettasi alla prima occasione alle logiche e agli uomini della vecchia politica (contratto 5 Stelle-Lega), oggi prende la forma di ciò che potrebbe essere lo scacchiere politico da qui in avanti, con i pentastellati affascinati dalla corte del PD con il quale potrebbero trovarsi costretti a discutere nell’ipotesi di un nuovo esecutivo contro il centrodestra ormai primo in ogni intenzione di voto degli italiani.
Lega, grillini e dem trovano la sintesi delle loro intenzioni nella guerra da muovere verso Partenope, l’unica che non si è mai piegata, l’unica che – per davvero – ha rinunciato alle logiche dei palazzi del potere, l’unica da cui sono partite proposte, alternative allo stato di cose vigente. Il Consiglio Comunale di Palazzo San Giacomo è il solo luogo in cui tutte le compagini politiche del Paese hanno, nel corso di questi anni di amministrazione arancione, fatto fronte comune nell’opposizione alla sindacatura dell’ex magistrato.
«L’interrogazione del M5S per commissariare il Comune di Napoli è una vergogna che forse nemmeno Mussolini si sarebbe sognato di mettere in atto. I 5 Stelle stanno veramente alla frutta. È una pagina vergognosa di chi ha preso voti al Sud per rappresentare nel Paese un Sud diverso. Forse il 16% per i 5 Stelle è un risultato ancora molto alto. Faranno apparire Salvini come un democratico, perché dovrà dire: “Mi volete scavalcare a destra”. Questa vicenda è triste. Ci siamo salvati, e nonostante i governi, abbiamo messo a posto i conti. Vorrei ricordare che Presutto è uno di quelli che a fine anno ha fatto passare degli emendamenti sulla riduzione delle anticipazioni di tesoreria che stavano per far fallire il Comune di Napoli. Quindi, mettendo insieme le due cose, vuol dire che è un obiettivo istituzionale che si è messo in testa insieme ad altri. E non parlo del PD per carità di patria».
Incapace di fronteggiare l’impeto salviniano che lo ha divorato in poco meno di un anno, il MoVimento azzarda, dunque, una mossa al limite dell’incredibile per distrarre l’elettorato del Sud dalla clamorosa débâcle delle Europee, da una recessione che li ha visti inermi anche di fronte al ritorno del PD. C’è, però, qualcosa di positivo che emerge da questa vicenda, un aspetto che porterà presto il Primo Cittadino napoletano a ripensare a questi giorni in futuro e a ringraziare l’imprudenza grillina: l’ipotesi dell’improbabile accordo va, così, già a smontarsi, e senza bisogno di ulteriori spiegazioni da una parte o dall’altra.
Come potrebbe, il Sindaco, giustificare infatti una mano tesa a chi, per anni in Consiglio Comunale e oggi in Parlamento, ha tentato di offrire la sua testa a coloro che Napoli l’hanno sotterrata di rifiuti e ancora tentano di allungare le mani sul ribelle capoluogo partenopeo? DemA prenda finalmente coscienza di avere tutte le carte in regola per giocarsi la partita da sola, la gente di Napoli è l’unica alleanza di cui de Magistris ha bisogno, traino di un Sud Italia scordato da tutti e umiliato dalle richieste di autonomia della Lega per le regioni del Nord che i grillini avalleranno presto.