Edward Weston, nato in Illinois Highland Park nel 1886, inizia a fotografare all’età di sedici anni per non smettere più. Frequenta l’Illinois College of Photography che accresce in lui la passione per la fotografia. Secondo la moda del tempo, inoltre, dal 1911 si perfeziona nelle tecniche pittoriciste che sfrutta in particolar modo nei ritratti.
Nel 1920, però, abbandona la fotografia pittorialista, una scelta dovuta soprattutto agli incontri cruciali con Alfred Stieglitz, Paul Strand e Charles Sheeler, che stimolano Edward Weston spingendolo verso la sperimentazione. Un evento di certo molto importante, specialmente per la nuova fotografia che negli Stati Uniti, in questi anni, sta diventando sempre più protagonista.
Da questo momento in poi, Weston non fa altro che cercare la perfezione e migliorare il suo linguaggio fotografico che subito individua, come scrive Italo Zannier nel suo Occhio della fotografia, nella decontestualizzazione: quell’estraniamento che era nel contempo al centro della ricerca dei “formalisti” russi e nella nitidezza del dettaglio, un obiettivo a dir poco inarrivabile con i suoi mezzi e che, proprio per tale motivo, l’artista è spinto a estremizzare con un virtuosismo senza eguali.
A San Francisco, Edward Weston conosce Tina Modotti, fotografa e rivoluzionaria, con la quale intraprende un viaggio per il Messico nel 1923. Un’esperienza molto rilevante per il fotografo che ha modo di frequentare pittori muralisti dal calibro di Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros e José Clemente Orozco, con i quali lui e la Modotti, precisano un’ideologia della fotografia che, partendo dalle stimolanti istanze di Stieglitz, si orienta all’analisi del paesaggio arcaico che il Messico propone intoccato e avvolto in una luce drammatica come la sua storia. Weston, però, a differenza della Modotti, non interessato alle vicende politiche del Paese, si abbandona a una lettura sempre più estetizzante del paesaggio e della natura.
Il periodo messicano vede Edward fotografare ortaggi, conchiglie, paesaggi dei quali tende a evidenziare la struttura, la forma implicita ma sconosciuta. Come scrive Zannier, queste “forme” sono spesso antropomorfiche, allusive, coordinate tra di loro da un segno comune, in uno stile che nessuno ha personalizzato con eguale vigore e razionalità, spesso poetica. Nel 1932, insieme ad Ansel Adams, Imogen Cunningham, William Van Dyke e molti altri, Weston fonda il Group F:64 che vuole proporre una nuova tipologia di fotografia, estremamente pura e diretta, straight, come lo stesso Stieglitz l’ha etichettata trent’anni prima. Il gruppo può essere definito fanatico in quanto mira all’ipernitidezza delle immagini dovuta alla chiusura estrema del diaframma, appunto F:64.
Questa tecnica così sofisticata è utilizzata nel 1936 quando Weston va a esplorare il deserto californiano, dove realizza alcune tra le sue fotografie più famose di dune di sabbia. L’anno successivo, vince la borsa Guggenhein grazie alla quale intraprende un viaggio nell’ovest degli Stati Uniti. Da questa incredibile esperienza nasce California and the West, volume del 1940 nel quale sono pubblicati gli scatti realizzati durante il viaggio.
Come scrive Susan Sontag nel suo Sulla fotografia, il pittore costruisce, il fotografo rivela ed è proprio l’identificazione del soggetto che è alla base della percezione fotografica. Un esempio lampante è la fotografia Foglia di cavolo che Weston scatta nel 1931. Al primo sguardo si vede un tessuto increspato, per comprendere davvero l’oggetto, però, è necessario leggere il titolo. Un altro esempio sono i peperoni da lui immortalati, voluttuosi come lo sono di rado i nudi femminili. Questi soggetti, del resto, sono entrambi fotografati in funzione di un gioco di forme dove il corpo viene mostrato ripiegato su se stesso, diminuendone la sensualità. Il peperone, invece, è visto in primo piano, con la pelle lucidata, riscoprendo una suggestione erotica di una forma assolutamente neutra. Per Weston, infatti, la bellezza è sovversiva e le sue fotografie di nudi scandalizzano molto il pubblico. La Sontag scrive: Secondo eroici modernisti come Weston, la disciplina fotografica è elitista, profetica, sovversiva, rivelatrice. I fotografi sostenevano di svolgere il compito blakeiano di purificare i sensi “rivelando ad altri il mondo divo che li circonda, – come diceva Weston a proposito del proprio lavoro, – mostrandogli ciò che è sfuggito ai loro occhi ciechi”.