Napoli, 3 maggio, Piazza Nazionale: la camorra colpisce ancora e, ancora una volta, degli innocenti restano feriti. Tra questi, anche una bambina di appena 4 anni, Noemi, che finalmente è fuori pericolo dopo giorni difficili. Sembra tutto normale, una storia già raccontata, avvenimenti che si ripetono e si ripetono da sempre. Eppure, il tempo passa, ma nulla cambia.
Anche i politici sembrano vivere questi momenti con poco allarmismo, come in un loop ormai normale. Certo, indignazione, parole forti non mancano, ma azioni concrete mai. A tal proposito, il Ministro dell’Interno Matteo Salvini ha dichiarato: «Una preghiera per quella bambina ferita a Napoli. […] Ma almeno si sparassero tra di loro senza rompere le palle alla gente che non c’entra…, almeno se la prendessero tra di loro». Un commento che ci si aspetterebbe da un normale cittadino piuttosto che da un vicepremier, il quale dovrebbe-potrebbe agire, non fosse altro per il ruolo che ricopre, al fine di porre fine a questo male così fortemente radicato.
Convivere con la camorra non è qualcosa che si può spiegare, è un veleno che i territori devono sopportare, che lo Stato non ha saputo curare, le cui risposte dure e convincenti, necessarie, non sono mai arrivate con la conseguenza di consegnare alla criminalità le fasce povere della popolazione che non riesce a trovare una soluzione diversa. Di diverso, però, nella storia che ha travolto la piccola Noemi c’è stato qualcosa: alla manifestazione organizzata lo scorso weekend per le strade del capoluogo campano, infatti, non hanno partecipato soltanto tantissimi cittadini e associazioni ma, per la prima volta, è sceso in piazza anche un giovane il cui nome ancora risuona: Antonio Piccirillo.
Figlio di Rosario Piccirillo, boss della camorra, Antonio ha partecipato in maniera attiva al corteo rilasciando dichiarazioni davvero audaci: «Io sono Antonio Piccirillo, figlio di Rosario Piccirillo, che ha fatto scelte sbagliate nella vita. È un camorrista. E io voglio lanciare un messaggio ai figli di queste persone: amate sempre i vostri padri ma dissociatevi dal loro stile di vita. Perché la camorra è ignobile, ha sempre fatto schifo e non ha mai ripagato». È tangibile, nelle parole del ventitreenne, la rabbia di un figlio la cui vita è stata scandita dagli arresti e dalle scarcerazioni di un padre che non conosce e non stima, ma che inesorabilmente ama per natura. Ma l’amore tra padre e figlio è un conto, il rispetto è un’altra storia.
Soltanto le azioni, le dimostrazioni possono portare a un cambiamento e spezzare questa rete di odio e violenza che sempre più si diffonde nel nostro Paese. La “denuncia” di Antonio Piccirillo, quindi, fa ben sperare nella possibilità di un futuro diverso, nella possibilità di abbattere quell’idea che sembra radicata nelle mente di molti, vale a dire che la camorra non possa essere sconfitta.
Sono tantissimi, troppi, i ragazzi che hanno la criminalità organizzata in casa, eppure ci vuole un grande atto d’amore per rinnegarla, affrontare di petto la realtà e cercare nel proprio piccolo di cambiare le cose. E Antonio Piccirillo con le sue parole, la sua presenza, le sue azioni vuole spingere tutti quei figli che, come lui, hanno ricevuto soltanto esempi sbagliati dal proprio genitore, con conseguenti disagi esistenziali, a dire basta, a fare qualcosa per sé e per gli altri, perché un cognome scomodo non può e non deve definire ciò che sei, chi diventerai. Perché i genitori camorristi, la vita di merda se la meritano, ma non possono essere sempre i figli a pagare per gli errori dei loro padri.