Ci sono fatti di cronaca che più di altri riescono a far percepire lo stato di degrado culturale in cui versano, al di là delle condizioni economiche, strati di popolazione in diverse parti del nostro Paese, intere famiglie allo sbando e istituzioni latitanti che hanno gravi responsabilità di quanto accade.
Giorni fa, in un piccolo centro del Sud, quattordici ragazzi, in maggioranza minorenni, non sapendo come ingannare il tempo, hanno nuovamente giocato con quella real PlayStation diventata ormai un modo di combattere la noia e dare un senso al vuoto cerebrale che il Prof. Vittorino Andreoli così ha sintetizzato nel corso di un intervento televisivo: «Nel vuoto non è impossibile fare delle cose. Si può fare un’azione crudele e persino positiva. Nel vuoto, però, mancano le direttive, manca una morale, mancano dei principi e quindi si vive portati non dal pensiero, ma dagli istinti di poter sopraffare e poter mostrare la propria forza».
Quella pratica di vessazioni, soprusi e lesioni anche fisiche da parte di questi soggetti nei confronti di un anziano che per il branco era il pazzo, e che in altri tempi era lo scemo del paese nei confronti del quale ci si limitava a uno stupido sorrisetto o alla parolina per vederne la reazione, andava avanti da tempo. Stanchi di ripetere sempre gli stessi gesti, però, i giovani hanno costretto la vittima a scendere in strada dove è stata ripetutamente colpita e rigorosamente filmata per essere messa in chat, su WhatsApp, per scatenarne la derisione collettiva. Antonio Cosimo Stano, questo il suo nome, è morto a seguito delle percosse e torture subite, evidentemente perpetrate in maniera più decisa per rompere la monotonia di un gioco che durava da tanto.
Tutti sapevano, alcuni avevano presentato un esposto alle Forze dell’Ordine ma, come anche accaduto per i numerosi omicidi a danno di donne vittime di stalking, le numerose denunce sono state in maggioranza ignorate o non prese in seria considerazione. Tuttavia, gli impegni del responsabile del Viminale, troppo preso da selfie, cambio di casacche e porti da chiudere, evidentemente non gli consentono di occuparsi di fatti come questo, delle omissioni e della superficialità dei suoi uffici periferici che, se commessi da migranti, avrebbero trovato certamente almeno un post o un tweet tra gli applausi di fan gaudenti.
Ma quali sono le cause dell’imbarbarimento di giovani non appartenenti a famiglie con particolari situazioni di disagio sociale ma a quei nuclei familiari definiti normali che nascondono piccoli mostri allevati alla scuola dell’indifferenza, del qualunquismo e di quel vuoto di cui parla Andreoli? C’è un’unica parola, secondo il noto psichiatra: educazione, un problema che riguarda le famiglie e la società. Questa è l’emergenza di questo momento storico.
Un’assenza formativa, la mancanza degli elementi basilari indispensabili per essere parte di una comunità, un vuoto non casuale, determinato, oltre che dalla famiglia, dall’inadempienza della scuola, di un’istituzione sempre più mortificata dalle politiche figlie dell’incapacità dei nostri rappresentanti che a essa hanno contribuito anche con visioni abominevoli e vergognose, quali con la cultura non si mangia del saccente Giulio Tremonti o è una vergogna spendere 250 milioni per quei quattro sassi di Pompei del Governatore leghista del Veneto Luca Zaia, solo per citare alcune delle esternazioni da guinness dell’ignoranza di Stato.
Una scuola incapace di parlare ai ragazzi supportati nel loro vuoto da famiglie assenti sul piano educativo e non in grado di stabilire un dialogo con quell’istituzione ritenuta ormai un diplomificio di diritto dove la difesa dei propri figli è divenuto principio non negoziabile e il corpo docente, con tutte le deficienze e inefficienze di alcuni, è ritenuto quale controparte di un processo e non parte parimenti fondamentale di un percorso formativo.
Di fronte a un tale scenario sarebbe necessario, allora, che la scuola recuperasse la sua autorevolezza con regole e comportamenti adeguati e con personale all’altezza dei propri compiti, al di là della preparazione specifica professionale, dando un segnale di credibilità alle famiglie e ai ragazzi, e un tempo pieno in particolare per le fasce dei più piccoli con attività che vadano oltre l’ordinaria didattica.
«C’è necessità, quindi, di un tipo di intervento utile al fine di contrastare il fenomeno, di figure di prossimità, come educatori giovani molto ben formati e supervisionati, d’accordo con le scuole dell’area interessata. Giovani capaci di vivere e abitare il quartiere, di intercettare questi ragazzi, di parlare il loro linguaggio e di proporre loro delle avventure che sostituiscano quelle che li stanno distruggendo»: così si espresse il noto maestro di strada Marco Rossi Doria da noi intervistato, parlando del fenomeno delle baby gang della nostra città, della povertà educativa e del fallimento formativo.
Occorre una vera e propria mobilitazione di tutte le istituzioni che non devono limitarsi a stanziamenti il più delle volte vani per corsi inesistenti utili ai soliti prenditori della formazione, bensì a valorizzare quelle iniziative di volontariato che operano sui territori tra mille difficoltà e che rappresentano, invece, il vero anello di congiunzione in particolare con quelle famiglie disagiate e impossibilitate a contribuire alla formazione e alla crescita dei propri ragazzi, d’intesa con una scuola all’altezza dei propri compiti.
Il massacro del povero Antonio Cosimo Stano consumato nel tempo, circondato dal silenzio generale e dalle segnalazioni di pochi a istituzioni sorde e incapaci, con il tragico epilogo per mano di quattordici ragazzi e la complicità dei tanti, esige una risposta dello Stato che non può continuare nella propaganda mostrando mostri inesistenti per i soliti imbecilli, ma calandosi nelle realtà dei problemi che da troppo tempo attendono reazioni chiare e inequivocabili.
È necessario mobilitarsi per salvare il salvabile e costruire un futuro per i nostri ragazzi, allo sbando in una società costruita ad arte dai professionisti della politica del vuoto, di quel vuoto non casuale che porta tanto consenso da parte dei suoi detentori.