Nel rispetto della continuità con gli esecutivi che si sono succeduti sino al 4 marzo dello scorso anno, ma con nel nome l’unico effettivo cambiamento – alquanto ridicolo –, vale a dire contratto e non governo di coalizione, tutto procede secondo tradizione in vista dell’imminente competizione elettorale.
I due partiti contraenti, da settimane, rimarcano le differenze, quelle che dovrebbero servire a ricompattare i propri elettori e a recuperare quelli ammaliati dal canto della sirena salviniana, almeno per quanto riguarda i pentastellati, che, finalmente, hanno trovato la casa giusta dove vomitare tutta la bile razzista e xenofoba covata da sempre ma mai esternata abbastanza.
Solo da qualche giorno, però, il Vicepresidente Di Maio ha scoperto che i porti non potranno essere chiusi – anche nel rispetto dei trattati internazionali, oltre all’inesistenza di qualsiasi decreto (contrariamente ai suoi soliti silenzi sempre complici) –, che delegare ai prefetti prerogative dei Sindaci riporta il Paese ai tempi dei podestà tanto cari al Matteo nazionale e ai suoi sostenitori neofascisti, che l’indagato per corruzione, il Sottosegretario ai Trasporti Armando Siri, dovrebbe dimettersi – dimenticando di aver persino evitato al suo collega di essere giudicato da un tribunale, in contrasto con quanto detto e fatto per altri casi analoghi – e di aver chiuso non uno ma due occhi per la truffa dei 49 milioni di euro a opera della Lega, trovando normale il ridicolo rimborso del malloppo in appena ottant’anni.
Il 26 maggio è troppo vicino e i sondaggi confermano quanto soltanto uno sprovveduto e ingenuo non è riuscito a comprendere sin dall’inizio, vale a dire la naturale conseguenza del patto suicida con la forza politica che soltanto uno stratega e furbo Silvio Berlusconi riuscì a tenere a bada tra incarichi di governo rivelatisi poi inutili per l’inesistenza di risultati presso i Ministeri della Giustizia e delle Riforme.
Sulla stessa linea, il Ministro dell’Inferno, che tra selfie, video sui social, cambi di casacca e apparizioni varie, attacca la Sindaca di Roma chiedendone le dimissioni, ma dimenticando gli amministratori locali della Lega indagati per peculato come il Primo Cittadino Senatore di Visso (Macerata) e l’unico campano in forza al Carroccio di Torre del Greco arrestato per fondi neri, corruzione, appalti pilotati, oltre ai condannati e indagati che siedono in Parlamento.
Schermaglie sostenute da schiere di ebeti da tastiera in puro stile feltriano, rappresentativi di una subcultura perfettamente adeguata ai miti del momento cui è stata delegata irresponsabilmente la guida del Paese, rischiano di tradursi in ulteriori consensi di pancia che segneranno un ulteriore arresto di crescita culturale che già ha prodotto tanto danno e i cui effetti sono oggi sotto gli occhi di tutti tranne di quanti non ne riescono neanche a percepire i pericoli e la gravità.
Una strategia superficialmente ritenuta patrimonio esclusivo della politica della cosiddetta prima Repubblica che, in realtà, è stata da sempre praticata per la difesa dei singoli orti, degli interessi di parte, di quel particulare tipicamente italiano, dove il senso di appartenenza a un insieme più grande fa fatica a diventare patrimonio comune. La sinistra è l’esempio più evidente dell’impossibilità di costruire qualcosa che sia la risultante di più forze perché incapace di uscire dai personalismi e dagli interessi delle singole realtà.
Ma il gioco in corso tra le due forze di governo, è bene sottolinearlo, è quello che accade in ciò che resta del centrodestra, è ciò che succede tra i brandelli della sinistra, è quanto avviene anche in quelle microrealtà ancora più a sinistra dove ipotetiche irrisorie percentuali, ritenute soddisfacenti, mandano all’aria proposte di un cammino comune che rischierebbero di far saltare insignificanti leadership di contesti cui piace tanto ascoltarsi.
Un quadro generale avvilente, culturalmente meno che mediocre, in cui sguazzano i Feltri che, pur non vendendo ormai una sola copia in più delle già scarsissime vendite, ritengono essere al centro del mondo per qualche titolo maleodorante di sterco d’animale dove la denigrazione e la ridicolizzazione del personaggio del giorno produce poche centinaia di like in più e beceri commenti che tanto fanno sghignazzare gli utili imbecilli.
Certamente c’è chi meglio d’altri riesce a calamitare consensi al proprio modo d’essere, di esercitare un ruolo – come nel caso del direttore di Libero –, convinto in tal modo di fare informazione, di essere uomo delle istituzioni fomentando odio e creando divisioni, persuaso che sia questo il governare o, magari, lasciando fare al contraente più carismatico praticando la politica del silenzio e della cecità occasionale al fine di scoprirsi difensore dei principi fondamentali, del presentarsi come salvatore di un Partito Democratico lacerato e diviso per poi proporre gli stessi impresentabili che hanno contribuito a distruggere e ancora continuano nella peggiore politica locale.
Un quadro generale avvilente, dicevamo, che necessiterebbe di una spallata autentica, forte di un grande progetto unitario capace di guardare al futuro e di parlare al Paese con coraggio, verità e determinazione, affrontando i temi dell’ambiente – prima che sia troppo tardi –, del lavoro – prima che le nostre terre si spopolino definitivamente dei nostri giovani –, dell’organizzazione della giustizia di cui anche questo governo definito del cambiamento appare incapace di garantire l’ordinaria amministrazione, e la scuola, sempre più mortificata da tagli di risorse in perfetta continuità con le precedenti legislature.
Il gioco delle tre carte, a danno dei pensionati per un reddito di cittadinanza pur giusto ma che in realtà non sembra rispettare per niente le cifre promesse sempre più ballerine, si fermerà qualche settimana per poi riaprire il tavolino fregando il prossimo di turno. Ciascuno, nei prossimi giorni, continui dunque a marciare per proprio conto per poi riparlane nei primi di giugno. Tanto, il mare ha la grande capacità di distrarre un po’ tutti per circa tre mesi, è scritto anche sul contratto.