Da alcuni mesi, ormai, non si fa altro che registrare nel Paese un clima sempre più pesante e preoccupante fatto di odio in ogni peggiore forma espressiva che trae origine da invettive e forme comunicative di esponenti del governo, non nuovi all’esercizio di formule costantemente applicate in oltre vent’anni di presenza in Parlamento e nei vari esecutivi da essi sostenuti.
Superfluo ricordare espressioni razziste nei confronti di terroni, persone di colore o comunque non rientranti – fortunatamente – in gruppi di individui con strani e ridicoli abbigliamenti in adunate campestri che certamente non fanno onore e non rispecchiano la tradizione culturale dei territori ove sono nati, ma tutto questo non conta. Quello che troppo superficialmente viene definito popolo meridionale, d’un tratto, ha cancellato tutto beatificando chi grazie a quella strategia ha costruito il proprio futuro e quello della propria armata elettorale fatta di mediocrità e pressapochismo.
Che una parte della nazione italica abbia deciso negli ultimi trent’anni di spostare il proprio consenso dall’allegra armata del Bunga Bunga all’enfant prodige fiorentino, per poi cadere nel tranello pentastellato con l’abbraccio mortale con la forza politica più a destra del Paese, è scelta formalmente rispettabile ma peggiore anche delle decisioni imposte dall’ex Capo di Stato Giorgio Napolitano. Fin qui, dunque, la sintesi di una tragica narrazione che delinea ciò che questa nazione sta vivendo in un contesto internazionale per niente confortante e sempre più dominato da forze eversive che anche in vista dell’imminente competizione elettorale cercano di compattarsi per dare la sferzata finale a un’Europa traballante e non coesa.
Da tempo, alcuni di noi che fanno informazione con correttezza, onestà e piena autonomia, si pongono una domanda che non sembra apparentemente avere risposta: dove sono finiti gli intellettuali? Quegli uomini di cultura, di pensiero libero, lontani da interessi particolari, depositari di valori culturali universali? Silenzio, il più assoluto silenzio.
In verità, va detto che nelle uniche uscite sia in campo nazionale che in quello locale, la classe degli intellettuali, un’élite nel senso più nobile del termine, non ha mostrato il meglio di sé, non ha fornito il proprio contributo, non ha fatto sentire la propria voce compatta al seguito di episodi imperdonabili di xenofobia, razzismo e qualsiasi altra forma di intolleranza.
Usciti dal letargo per ridicole rimostranze nei confronti di provvisorie installazioni natalizie o di grate in piazze storiche, ma silenti al cospetto di vere e proprie persecuzioni nei confronti di chi, come Mimmo Lucano, ha operato per il bene, per l’inclusione e la reale integrazione in una terra divorata dal malaffare che non sembra avere fatto scandalo quanto l’umile Primo Cittadino di Riace. Silenti, poi, di fronte a una nave con 47 disgraziati a bordo ancora una volta strumentalizzata per meri giochi elettoralistici o, peggio, da dare in pasto a un’accozzaglia di italiani smemorati e avidi di odio che è inutile voler coprire con parole di comodo appartenenti, come ha avuto modo di definire l’altro giorno Papa Francesco, alla cultura dell’aggettivo. Migranti invece di persone, marchi a fuoco ormai patrimonio comune.
Limitarsi agli appelli con tanti bei nomi della cultura e dell’arte non basta, non serve neanche a scalfire minimamente un sistema che si fonda su scelte e politiche utili soltanto a parlare alla pancia di certa gente per nascondere l’incapacità di indicare soluzioni dei problemi reali del Paese, il lavoro innanzitutto, che tra improbabili redditi, regalie e ulteriori rapine ai pensionati, resta il tema che fino a ora vede sempre più giovani emigrare, meno giovani disoccupati e pensionati con assegni da fame.
Arricchire i salotti televisivi con uno scrittore da hit parade sarà certamente meglio di una diretta per un matrimonio trash, ma resta pur sempre la voce isolata di una categoria che sembra volersi nascondere e che, talvolta – come accaduto a questo giornale con un noto intellettuale non disponibile a domande scomode sui tempi che viviamo –, preferisce eludere pur di non intaccare la propria notorietà, attirandosi antipatie da parte di un certo pubblico.
Il mai dimenticato Enzo Biagi amava ripetere, pagando all’occorrenza di persona, che bisogna schierarsi, avere il coraggio delle proprie idee, il dovere di difendere quei principi non negoziabili affinché, ricordando le parole di un grande e giovane collega che ha pagato con la vita l’essere giornalista-giornalista, come Giancarlo Siani, anche gli intellettuali, come occorre, siano intellettuali-intellettuali, uomini di cultura, di pensiero libero, lontani da interessi particolari, depositari di valori culturali universali.
Caro Antonio Salzano, credo che tu abbia messo il dito nella vera piaga che affligge il paese in questo momento non felice del paese, a fronte del quale è da registrare una crisi culturale più che politica. E mai come adesso appare evidente una defezione proprio di quel mondo culturale che in una società evoluta e sana svolge una funzione preminente, anche come scelta di un dovere sociale irrinunciabile. Ciò che nell’oggi ha i connotati di una vera e propria isteria collettiva, che alcuni osservatori chiamano “cattivismo”, o “sovranismo”, o “leghismo di segno nazionale” e tanto altro, in sintesi fascismo, sembra aver paralizzato del tutto gli intellettuali italiani. A parte delle isolatissime e solitarie voci, essi tacciono sul grave pericolo che corre la nostra democrazia. Non si tratta di un’iperbole, ce lo dicono infatti, gli ormai troppo numerosi episodi di razzismo e di violenza fascista. Allorché ho letto il tuo giusto ed interessante articolo, ho pensato a due cose, subito: alle provocazioni intellettuali e sociali di Pasolini e come egli manchi alla cultura italiana, priva di sollecitazioni, come immersa in un limbo lontano. E poi ho pensato a mio zio, Roberto Bracco, celebre drammaturgo e fervente antifascista, che per questa sua scelta pagò un prezzo altissimo con l’esclusione dal mondo letterario dell’epoca e con una condanna ventennale di un quasi domicilio coatto. Non venne eliminato fisicamente dal regime fascista perché troppo conosciuto all’estero. Ebbene, in quegli anni di oblio e solitudine, Bracco non depose la sua penna e continuò a scrivere contro il fascismo e dei suoi colleghi disse: “Gli artisti sono vili”. Infatti schiere di intellettuali premevano alle porte che contavano durante la dittatura a richiedere prebende ed onori. A cominciare da quel Pirandello che si iscrisse al partito nazionale fascista pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo di Giacomo Matteotti. Ecco, guardando l’Italia di oggi, preoccupata per un triste passato che potrebbe ritornare, spero molto che almeno una volta, a proposito del mondo culturale e degli artisti in genere, Roberto Bracco possa essersi sbagliato.
Aurelia del Vecchio ti ringrazio per la tua riflessione che ho molto apprezzato e che ,ovviamente , condivido in pieno. Il ricordo del grande Roberto Bracco mi ha fatto oltremodo piacere e,purtroppo, ritengo che non si sia sbagliato per niente. Un caro saluto