La concezione della memoria e del passato detiene il fulcro della lezione di scrittura organizzata da minimum fax. Davide Orecchio e Filippo Tuena, i due autori che per un giorno hanno indossato le vesti degli insegnanti, spiegano ai presenti come questi possano divenire labili con il fluire del tempo e anche come, all’interno di un romanzo, vengano ricostruiti mediante una ricerca accurata dei fatti e degli avvenimenti preponderanti di quello che definiamo lontano presente.
«Si stabilisce un rapporto tra l’oggetto della tua indagine e il modo in cui tu la recepisci, il problema è che ti devi innamorare», sostiene Tuena, autore e saggiatore italiano, vincitore del Premio Cavour nel 1999 per il libro Tutti i sognatori, ma anche del Premio Bagutta nel 2006 per Le variazioni Reinach, e del Premio Viareggio nel 2007 con Ultimo parallelo, fra sue le opere più conosciute.
Ma qual è il punto cardine quando si parla di storia? Ciò che conta quando si scrive un romanzo storico non è tanto la struttura narrativa ma il racconto dei fatti. Un impatto forte con il desiderio di raccontare quel che è stato per far sì che nonostante la memoria sia, la maggior parte delle volte, tendente all’oblio, il tutto possa essere racchiuso in un libro, permettendo ai posteri di sfogliarlo immergendosi in episodi passati. Sono la passione e la curiosità che spingono i due scrittori a parlare di ciò che è realmente accaduto, trattando il tutto come fosse un’enciclopedia precisa: «Mi sono appassionato e non ho più scritto niente di inventato», continua Tuena.
Una domanda che spesso affligge il lettore quando ha un romanzo storico tra le mani è come l’autore-modello, ossia colui che deve fornire le linee guida a chi legge per permettergli la fruizione del testo, possa essere completamente attinente ai fatti senza precipitare, come fosse un funambolo, dalla sottile corda che separa la realtà dalla finzione e come egli debba distaccarsi da ciò che lo circonda per non essere influenzato dalla quotidianità e dalle sue relazioni affettive. Un punto cruciale della lezione, dunque, è proprio rispondere a questo quesito.
A parlarne ai presenti è Davide Orecchio, anch’egli scrittore di romanzi storici, vincitore del Premio Supermondello con le biografie reali e immaginarie di Città distrutte, con le quali è arrivato anche finalista al Premio Volponi e al Premio Napoli. In seguito, uscirà il romanzo Stati di grazia (2014), finalista del Premio Bergamo e l’opera miscellanea attorno alla Rivoluzione Russa intitolato Mio padre la rivoluzione nel 2017: «Nei materiali con i quali ho lavorato ho sempre trovato delle difficoltà ad affidarmi ai racconti degli altri. Non sempre c’è un rapporto esperienziale con ciò che vai a raccontare, questo, quindi, costituisce il dilemma dello storico e dell’autore che va a occuparsi di storia».
Ma come raccontare le memorie del passato? Se lo chiede Davide stesso raccontando un episodio a lui caro: per scrivere delle biografie si è trovato ad andare nelle Marche per parlare con chi delle vicende di cui voleva raccontare sapeva certamente di più, avendo con quello che doveva essere il protagonista e il punto cardine della storia dei rapporti di parentela: «Facendo una raccolta di verifica e ascoltando le memorie delle altre persone, sessanta, ottant’anni dopo, ti rendi conto che all’interno di quelle storie c’è anche tanta menzogna, frutto delle relazioni affettive e dell’inganno della memoria».
Ciò che è importante, quindi, mentre si parla di passato, è avere una visione trasversale che è sempre imprevedibile e mai battuta, andando a cercare ciò che può aiutare nella comprensione dei fatti. L’inchiesta che viene definita come un procedimento investigativo teso alla scoperta della verità è di fondamentale importanza per allargare il campo di indagine, ma anche – sicuramente – il numero di pagine contenute in un libro. A tal proposito, è necessario vedere come all’interno di una narrazione da una parte si affacci la storia di altri e come invece, dal lato opposto, la propria memoria intima. Persistono, infatti, casi empirici e ostacoli da superare poiché le testimonianze della vita di un uomo possono essere e sono, la maggior parte delle volte, solo affettive: «La memoria non trasmetteva nulla e anzi era appassita. Essi si trovavano a descrivere quell’uomo come lo conoscevano non raccontando nulla che potesse essermi utile per ciò che intendevo scrivere», afferma ancora Orecchio.
I due scrittori, in base alle loro esperienze, mostrano come spesso una testimonianza possa apparire distante e non consona ai fatti. Raccontiamo quel che abbiamo incamerato, ma questo a volte potrebbe non corrispondere alla realtà in sé. Per scrivere un romanzo storico che non tenda al fantastico bisogna, dunque, far riferimento al contesto in cui la persona è vissuta. Un avvenimento, pertanto, si mostra reale soltanto quando è collocato con precisione all’interno di un arco cronologico (ad esempio, Orecchio ambienta il suo ultimo libro nel periodo delle Rivoluzione Russa). Inoltre, è necessario il recupero di dati e archivi poiché, quando la memoria è distante, affidarsi ai documenti è la soluzione più sicura.
A tal proposito, i due scrittori si soffermano su un tema centrale all’interno della nostra società contemporanea, il web: «La prima verità la ricerco negli archivi, andando anche nei luoghi dove la gente ha vissuto, il resto però, ovvero la seconda verità, vado a cercarlo su internet che è diventato un motore di ricerca molto più attendibile di un tempo», afferma Orecchio. Anche Filippo Tuena ammette di utilizzare il supporto dei nuovi media per cercare informazioni utili per i suoi romanzi, sostenendo che, al giorno d’oggi, esistono dei siti utilissimi – come ad esempio arcai.org – che permettono a chiunque di accedere a notizie passate e di scrivere il proprio libro comodamente da casa.
Spesso, però, il resoconto tende a essere messo da parte per far emergere quella che viene definita come questione individuale: quando scriviamo, tiriamo fuori delle cose di cui neanche noi eravamo a conoscenza. Il nostro cervello elabora fatti e avvenimenti facendo sì che riaffiorino da quella parte che nei primi anni del Novecento venne etichettata da Freud come inconscio, che si ripresenta attraverso immagini o semplici conversazioni. Poiché, come crede Filippo Tuena, quando la storia rifiorisce, i ricordi ritornano.
Tuttavia, ciò che conta, al di là del romanzo storico in sé, è la funzione che opera il lettore. Con quella che lo strutturalismo definiva come morte dell’autore nasce una nuova concezione secondo cui è proprio chi legge ad attribuire un significato al testo e l’autore deve far in modo che egli entri all’interno di una situazione di conflitto.
C’è, inoltre, sempre un input che arriva dal testo, dalle informazioni che giungono di anno e in anno e che vengono trasmesse dai nonni, così che quando si scrive un romanzo storico si sente sempre di avere qualcuno vicino che supporta l’autore sostenendolo nel filo logico dei fatti e degli avvenimenti facendo sì che la narrazione possa scorrere con piacevolezza, fornendogli anche spunti, dettagli e l’ispirazione necessaria a ogni valido scrittore. Perché, invece, quando scrivi un romanzo di invenzione, sei solo tu.