Forse non tutti sanno che l’Honduras, oltre a essere conosciuto come l’isola esotica in cui viene girato un noto programma televisivo italiano, è una repubblica da cui la gente fugge per far sì che le proprie ambizioni si concretizzino e i sogni si realizzino.
Prima della conquista iberica, l’area dell’attuale terra honduregna era abitata da popolazioni precolombiane, tra cui i Maya. Esplorato sia da Amerigo Vespucci che da Cristoforo Colombo, il territorio venne assoggettato definitivamente alla Spagna nel 1537 e solo due anni dopo incorporato nella Capitaneria generale del Guatemala. L’indipendenza, invece, fu ottenuta nel 1821. Conosciuto come uno dei Paesi più violenti delle Americhe, ancora oggi resta tra i più pericolosi al mondo per l’altissimo tasso di criminalità – legato soprattutto al traffico di droga – , come racconta anche Roberto Quesada nel suo libro intitolato Big Banana, che dipinge un quadro generale di questa realtà complessa e di quella della grande città dove il protagonista del romanzo, Eduardo, si troverà poi a vivere: la Grande Mela.
Nato in Honduras nel 1963, lo scrittore vive a New York dal 1989 dove è stato segretario dell’ambasciata del suo Paese natio. Attualmente collabora con vari media latinoamericani e spagnoli. Nei suoi libri, dove la passione per la scrittura non è affatto nascosta, predilige uno stile semplice e lineare che possa permettere al lettore di immergersi in ogni singola scena, provando a catapultarsi in un mondo diverso dal proprio nelle vesti di chi, come tutti, cerca in un modo o nell’altro di realizzare le sue aspirazioni. I testi di Quesada – e, in particolar modo, Big Banana – rappresentano dei veri e propri dipinti che ritraggono la tortuosa questione dell’immigrazione latina negli Stati Uniti, offrendo un punto di vista differente e intrigante che permette di guardare con gli occhi di chi racconta uno dei problemi più discussi dei nostri giorni. Una condizione difficile da sostenere, quella di coloro che hanno deciso di emigrare altrove, di lasciare la propria terra e gli affetti: volevano bloccare i pensieri come si cancella una registrazione premendo un solo bottone, si legge in uno dei primi capitoli del libro.
Quella di Eduardo, così come quella di molti altri uomini e donne migranti, è una sensazione che lo scrittore – avendola vissuta in prima persona – riesce a descrivere con particolare attenzione ai dettagli e ai luoghi. Quesada, inoltre, rivela come scegliere di partire possa portare conseguenze, come colui che viene definito straniero possa sentirsi escluso dalla società, lasciato ai margini di un mondo dove nessuno lo guarda e nessuno può accorgersi di lui: Eduardo, infatti, appena giunto nella Grande Mela dovrà accontentarsi di un semplice lavoro da muratore.
Parlando in terza persona, il narratore ricostruisce immagini vivide di chi sogna una vita diversa e che, soprattutto, spera di essere notato dalla gente affinché riconosca in lui una stella del cinema anziché un uomo qualunque. Quel che vuole il protagonista è rivelare se stesso e il suo talento al di là di un piccolo Paese, di un mondo ristretto che, a volte, non permette di raggiungere l’apice del successo se non attraverso l’immaginazione. Diventare un attore sarà la brama di Eduardo ma anche, prima di tutto, una possibilità di vivere davvero, di respirare un’altra aria, seppur inquinata dagli stereotipi e dalle masse che, nella società moderna, non fanno altro che attaccare etichette che nulla hanno a che vedere con l’essere in sé e con il talento che scaturisce sempre da una passione e mai dall’etnia o dalla propria terra d’origine.
Una trama in cui la fantasia ha un ruolo importante: sarà infatti essa stessa, insieme alla mole creativa di Eduardo e della famiglia della sua futura ragazza, a farli conoscere portando a una storia d’amore bella e intricata, classica di un romanzo rosa con tutti i suoi problemi e contraddizioni. Oltre al sentimento, però, il tema principale resta il sogno: chi va via dal proprio Paese è, il più delle volte, alla ricerca di nuovi orizzonti, di traiettorie che possano condurre al successo. Il protagonista deciderà di lasciare gli affetti e la vita di sempre per inseguire il suo grande desiderio di diventare attore, nonostante le ingiurie di un caro amico che, quasi volendolo contrastare, gli mostrerà come spesso si corra dietro a qualcosa di impossibile.
Soltanto alla fine del libro, Quesada presenta una concezione diametralmente opposta all’inizio del suo romanzo: ciò che sogniamo è spesso vaneggiato e a volte si sente la nostalgia di ciò che si è lasciato alla ricerca di qualcosa di, forse, più grande di sé: In passato aveva creduto che il suo desiderio di trovare posto fra i grandi non avesse niente a che vedere con i soldi né con il vanto di quella che chiamano fama, ma con la possibilità di avere un palco da cui essere ascoltato ed esporre i propri ideali per un mondo migliore, contro le ingiustizie sociali, contro la guerra, contro la distruzione della natura, contro i mali che affliggono il mondo. Cosa ne era stato di quel desiderio?
Il libro, tradotto dalla casa editrice Alessandro Polidoro, è il primo titolo della collana I Selvaggi, nata nel 2018 con la volontà di riservare uno spazio agli autori ispanoamericani contemporanei influenti nei loro Paesi ma inediti in Italia. Roberto Quesada, definito da Kurt Vonnegut uno scrittore dal talento straordinario, sarà nello Stivale ad aprile per presentare Big Banana con tappe a Torino, Milano, Roma e Napoli.