Quando si parla di Benito Mussolini, il più influente personaggio politico della storia recente d’Italia, il dittatore che trascinò il nostro Paese nella Seconda Guerra Mondiale al fianco della Germania nazista macchiandosi dei peggiori crimini possibili contro l’umanità, è inevitabile che il discorso crei dibattito, scaldi gli animi, provochi reazioni contrastanti in chi ascolta o, come in questo caso, legge. Antonio Scurati, scrittore nato a Napoli e affermatosi accademicamente tra Milano e Bergamo, ha pensato di affrontare il Duce attraverso un dialogo intimo, al fine di raccontarlo al pubblico dei lettori italiani con M, Il figlio del secolo, il suo ultimo romanzo.
Tramite il volume edito da Bompiani lo scorso anno, l’autore intende mostrare Mussolini per quello che è, senza filtri, facendo a meno sia dell’esaltazione di chi ancora – purtroppo – ne subisce oggi il fascino, sia della condanna adoperata dagli antifascisti. Ed è forse questo il motivo per cui M, Il figlio del secolo ha conquistato le cronache di ogni autorevole quotidiano e l’apprezzamento di una variegata fetta di pubblico, ben divisa tra chi ancora soffre di nostalgia del Ventennio e chi, invece, insiste nella sua azione di ferma condanna.
Basta collegarsi alla pagina di Amazon.it dedicata alla vendita del romanzo e leggere i più svariati commenti di recensione per avere chiaro che ci si trova di fronte a un probabile caso letterario di cui si parlerà, discuterà e litigherà a lungo. Il dato che ha più sorpreso chi scrive, infatti, è l’apprezzamento raccolto dalla quasi totalità dei lettori. E non è nostra intenzione proporre una recensione del libro in oggetto, ma chiederci perché le nuove camicie nere, tanto quanto gli antifascisti, pensino all’opera narrativa di Scurati come a una puntuale descrizione della vita del Duce e se sia, dunque, giusto diffonderla, in particolare in questo delicato momento storico.
Il dramma della Seconda Guerra Mondiale, seppur lontano ormai più di settant’anni, ha ancora i suoi segni, le sue ferite, disseminati lungo l’intero corpo dello Stivale e, troppo spesso, tocca contrastare i tentativi di revisione storica o di richiamo ai tempi di Mussolini come ad anni per cui provare rimpianto. Basti pensare ai recenti raduni organizzati dalle forze neofasciste per i cento anni dalla nascita del partito che scosse l’Italia e l’Europa, il 23 marzo prossimo. A tal proposito, è ancora in corso, a Prato, un braccio di ferro tra Forza Nuova e i sindaci delle cittadine della provincia toscana che mira a cancellare una manifestazione che risulterebbe, oltre che uno scempio, un atto contro Costituzione, anche uno schiaffo a un territorio medaglia di argento al valore militare per il coraggio dimostrato dai suoi cittadini nel respingere le truppe occupanti.
Il successo e le successive chiacchiere scaturite in merito all’argomento – che sono soltanto un banale principio d’incendio rispetto al fuoco che potrebbe divampare –, portano alla memoria un altro componimento che ha tentato di raccontare la realtà di un aspetto criminale senza l’intenzione dell’esaltazione, ancor meno adottando il tono della condanna: Gomorra, di Roberto Saviano, per stessa ammissione dell’autore in un’intervista a Fanpage. In entrambi i casi, l’intenzione dello scrittore è quella dell’esposizione dei fatti, aiutati dal tenero artificio di cui è capace la bella prosa, in modo che il destinatario, una volta entrato in contatto intimo, quasi esclusivo, con gli aspetti più umani, ma non per questo meno raccapriccianti, delle vicende narrate, possa poi esibirsi in una spontanea iniziativa di dissociazione.
M, Il figlio del secolo è un romanzo in cui d’inventato non c’è nulla, anzi, ogni avvenimento è documentato in maniera precisa. È la storia della Storia che ci ha resi quello che siamo (dal sito Bompiani), e a cui – aggiungiamo noi – rischiamo pericolosamente di far ritorno. Quella di Antonio Scurati è, sì, un’operazione culturale, ma il riverbero rischia di attirare e affascinare chi già rivolge lo sguardo al passato nel tentativo di abbracciare un’azione politica, quella squadrista, che tuteli – a suo giudizio – gli interessi del popolo.
La libertà a cui l’autore – con diritto – si appella nel raccontare il fascismo, Mussolini, privo dei pregiudizi che fino a non molti anni fa imponevano a chiunque accennasse al Duce e al Ventennio di dichiararsi preventivamente antifascista, dunque, condannando quanto stava per portare all’attenzione del pubblico, provoca un brivido freddo, non tanto per la necessità che ha mosso lo stesso scrittore nel desiderare di scrivere del fascismo ad altezza d’uomo – come per suo stesso giudizio –, quanto per la frequenza delle rimostranze che i nuovi gruppi neri stanno mettendo in pratica, affascinando le nuove generazioni come con il suono del pifferaio magico, una presa sui ragazzini francamente preoccupante e sconcertante. Tradotto, è forse necessaria, ma fa paura.
Raccontare Mussolini tentando di renderlo umano, alla portata di chiunque, è un rischio che, secondo Scurati, va corso. Portarlo a concorrere per il principale trofeo letterario italiano, il Premio Strega, è un impegno civile. Ma siamo sicuri che al termine della narrazione, della finzione della prosa, della lettura dell’ultima pagina, tutto questo porti davvero a una condanna? E che effetto avrà l’eco di una probabile affermazione del romanzo allo stesso Strega, con la conseguente viralità di cui gode una pubblicazione vincitrice?
È questo il sottile confine su cui muove i suoi passi M, Il figlio del secolo. Sarà capace, il libro, di aprire gli occhi alla gente e contrastare i nuovi populismi, i rigurgiti neri, o rinvigorirà la sete di giustizia violenta che sembra essere già sotto pelle a gran parte degli italiani?