Le recenti primarie del Partito Democratico, uscito a pezzi dalle ultime Elezioni Politiche grazie all’opera certosina di distruzione attuata da quel Matteo dell’arroganza e della supponenza che, forse unico nella storia repubblicana moderna, ha trasformato inconsapevolmente un referendum costituzionale in personale, hanno premiato Nicola Zingaretti. Il Presidente della Regione Lazio, in verità, non ha dovuto faticare molto per affermarsi, coadiuvato dalla candidatura alla Segreteria di tre personalità non eccezionalmente stimolanti in prospettiva di una vera e propria rifondazione di una forza lacerata da faide interne e dall’assoluta inconsistenza di un progetto capace di affrontare con coraggio il presente e guardare al futuro del Paese.
Unico collante tra i candidati, la capacità di non far capire nulla, o meglio, di non voler esprimere con chiarezza a quali possibili alleanze o partiti pensare per un ipotetico governo. In realtà, il solo Roberto Giachetti sin dall’inizio ha indicato in maniera chiara nel MoVimento 5 Stelle la forza politica con la quale non ricercare mai alcun tipo di intesa e, poi, anche il neo Segretario, più volte incalzato sull’argomento, si è visto costretto a dichiarare: «Ho detto fino alla noia che non ho alcuna intenzione di allearmi con il MoVimento 5 Stelle. Ritornare in maniera isterica e ossessiva ogni volta su questo tema è segno della debolezza di chi non sa dire nulla di positivo su se stesso e ha come unica arma parlare male degli altri».
Il guinness della negazione sul tema alleanze, di ogni spergiuro e dichiarazione gridata e ripetuta ossessivamente, tuttavia, spetta senza alcun dubbio a Luigi Di Maio in buona compagnia dell’agitato per ogni buona occasione Alessandro Di Battista, campioni entrambi dell’affermazione del contrario di tutto. Quindi, probabilmente colpito dalla stessa sindrome di autosufficienza, Nicola Zingaretti ha pensato bene di non esporsi troppo sull’argomento limitandosi a frasi di circostanza.
Intenderà il nuovo Segretario, nel caso di un ipotetico, fantomatico futuro successo elettorale, non godendo dei numeri necessari per un’adeguata maggioranza, ricorrere a un’intesa con ciò che resterà dei pentastellati, dopo essere stati a meno di ventiquattro ore dalla vittoria ai cantieri della TAV, unico tema che ha fatto riemergere – almeno fino al momento in cui scrivo – gli attributi di Di Maio ormai ceduti del tutto al suo alleato di governo? Oppure sarà disponibile a ricostituire quelle perverse alleanze dei governi Letta, Renzi e Gentiloni che trovarono nella stampella Berlusconi, attraverso un capolavoro di ingegneria politica, con gli Alfano, Lupi, Lorenzin e, ciliegina sulla torta, Denis Verdini, gli appoggi utili per la sopravvivenza dei loro esecutivi fallimentari? Allo stato attuale è possibile soltanto farsi domande, con Zingaretti che dovrà avere la capacità di estirpare, nei fatti, il renzismo, i provvedimenti scellerati e distruttivi che hanno allontanato la base, i lavoratori, quei ceti sempre più dimenticati da un partito che ha cancellato gradualmente la sua storia spostandosi sempre più verso politiche tanto care alla destra.
Tra i molti quesiti, c’è da chiedersi poi se l’attuale PD avrà la capacità di riuscire a rifondare la presenza campana da tempo allo sbando, tra vecchie cariatidi prepotentemente sempre sulla scena che soffocano tentativi di approfondimento e di serio dibattito che pur esiste tra quanti ancora tengono a ricostruire una forza politica che ha smarrito del tutto la propria identità ricercando nel recupero dei fondamentali la rinascita. Al momento, però, occorre ancora fare i conti con la realtà, con il non ininfluente peso del Presidente della Regione De Luca che, seppur uscito sconfitto dalle recenti primarie, con il suo piglio notoriamente autoritario alterna momenti di attrazione fatale per le sirene leghiste a posizioni ambigue sul tema delle autonomie e provocazioni inaccettabili e istituzionalmente scorrette al Primo Cittadino di Napoli di cui forse sente sempre più il fiato sul collo in vista delle Regionali.
A proposito di scadenze, infine, ci sono anche le Comunali che dovranno decidere a chi affidare la città dopo il ciclone Luigi de Magistris che, piaccia o non piaccia, simpatia o antipatia, ha rappresentato una discontinuità proprio con quelle Amministrazioni a guida Partito Democratico, che tra due anni ritengo vorrà riproporsi dopo le sconfitte clamorose, sebbene adesso sembri limitarsi ai soliti slogan anti-Sindaco che, in verità, non offrono una buona immagine a una coalizione che intende ripresentarsi con una verginità immacolata.
Una buona e sana democrazia ha bisogno di forze politiche che sui valori essenziali non tollerino deviazioni e tentativi di soffocamento da parte di chiunque. I rappresentanti delle istituzioni, quindi, siano per primi degni del ruolo che rivestono: il rigore, la libertà, il rispetto della dignità umana in ogni sua forma non sono valori negoziabili. La politica e i suoi uomini, se incapaci di tutelarli, vadano a casa e di corsa.