Ci sono alcuni personaggi, nella storia della letteratura e del cinema, che vivono una vita propria, al di là del romanzo o del film che li ha descritti e ce li ha fatti amare oppure odiare. La Lolita delle pagine del romanzo di Vladimir Nabokov e poi quella che abbiamo visto nel film di Stanley Kubrick ne sono uno straordinario esempio.
La protagonista della narrazione letteraria – pubblicata nel 1955 a Parigi – grazie al quale il grande scrittore russo acquisì fama mondiale e popolare, ha dodici anni e vive a Ramsdale, nel New England, insieme alla madre vedova Charlotte. Passa le sue giornate, annoiata e indolente, in un mondo di adulti dai comportamenti amabili ma tormentati da un’esistenza vissuta tra inconfessabili vizi privati e pubbliche virtù maldestramente recitate, finché la madre affitta una stanza della casa a Humbert Humbert, un quarantenne docente di letteratura francese. La bellezza e l’innocente malizia di Dolores – questo è il vero nome di Lola o Lolita, come invece viene chiamata – fanno impressione al solitario professore, forse perché gli ricordano Annabelle, suo primo amore, morta in giovane età.
L’innamoramento è immediato, ma si trasforma presto in un’ossessione erotica, compresa dalla ragazza che lo saluta con un bacio sulla bocca quando parte per la colonia estiva. Anche Charlotte è innamorata di Humbert e non fa niente per nasconderlo, così l’uomo intuisce la possibilità di non perdere la giovane sposandone la madre. Leggendo il diario del marito, però, la donna ne scopre le intenzioni e fugge da casa, ma viene investita da un’auto e muore. Humbert, quindi, raggiunge Lolita al campeggio e la porta via. I due protagonisti iniziano così un lungo viaggio, da un motel all’altro, lungo le grandi vie e le altre città degli States.
L’abisso fisico e mentale, nel quale coinvolge la giovane, porta il professore prima a rivelarle la morte della madre poi a minacciare e a pagarla per avere rapporti sessuali. Raggiunta la cittadina di Beardsley, i due si fermano e Humbert iscrive la ragazza a scuola, per poi tenerla lontana dalle relazioni con i suoi coetanei. Gli unici momenti di socializzazione per lei restano quelli del corso di recitazione tenuto dal commediografo Quilty, un vecchio amico di famiglia. Lolita convince il suo compagno a riprendere il vagabondaggio, ma durante una sosta si ammala e il professore la fa ricoverare in ospedale. Quando Humbert scopre che la giovane è scomparsa in compagnia di uno sconosciuto “parente”, si rimette alla ricerca del suo amore. Non riuscirà a trovarlo, dopo aver girato a lungo alla ricerca dei fuggitivi. All’età di diciassette anni, però, Lolita si rifà viva, scrivendo una lettera al professore, nella quale gli racconta una storia di maltrattamenti da parte del vecchio attore che poi l’ha abbandonata, finendo lei con lo sposare il giovane Dick. Fingendo di essere il padre della ragazza, Humbert le darà dei soldi, ma non riuscirà a portarla via. Deluso e disperato, cercherà e troverà Quilty e lo ucciderà. Si ritroverà in carcere e, aspettando il processo, scriverà un libro di memorie.
La versione cinematografica di Lolita, invece, fu realizzata da Stanley Kubrick, che chiamò lo stesso Vladimir Vladimirovič Nabokov per scrivere la sceneggiatura. Quando lo scrittore russo vide la pellicola, affermò che soltanto un quarto della sua scrittura restava nella trasposizione filmica, ma ebbe parole di ammirazione per il risultato. La caratteristica del personale e immaginifico rifacimento di una sceneggiatura o di un romanzo è una costante della produzione kubrickiana. Il testo da cui spesso partiva uno dei più grandi autori del cinema e dell’arte costituiva un pre-testo per creare, far vedere e soprattutto sentire altro al suo pubblico. Tra testimonianze giornalistiche e memorie personali – dal grande James Mason nella parte di Humbert alla brillante Shelley Winters nella parte di Charlotte, fino all’imprevedibile Peter Sellers – pare che i rapporti tra gli interpreti sul set, soprattutto tra la Winters e Sellers, non andassero bene. Il grande comico inglese interpretò in maniera personale il personaggio di Quilty, spalleggiato da Kubrick. Si racconta, infatti, che la scena “barocca” della sfida a ping-pong tra Humbert e Quilty, prima che il professore uccidesse il commediografo a colpi di pistola, sia stata inventata proprio da Sellers. La scelta della giovanissima Sue Lyon per la parte di Lolita fu più fortunata, invece, vista l’aderenza fisica ma anche psicologica dell’interprete al personaggio.
Dalla narrazione soggettiva del romanzo di Nabokov alla tensione erotica di una sensualità evocata più che messa in scena, per non parlare dell’annichilimento psicologico progressivo dei personaggi, lo “scarto” dalla parola all’immagine è evidente nel passaggio dalla Lolita del romanzo a quella del film. L’opera cinematografica fu girata in Inghilterra, dove il regista cercò di creare le condizioni economiche per avere il controllo totale della produzione della pellicola, che uscì nel 1961, vietata a un pubblico minore dei sedici anni. Le rigidità della censura già avevano reso problematica la pubblicazione del romanzo di Nabokov, ma della versione filmica viene alla mente la scena in cui Lolita è distesa sul letto in una posa indolente mentre Humbert parla con lei di fatti banali e intanto le mette lo smalto sulle unghie dei piedi. È una delle scene più erotiche della storia del cinema, con l’unica nudità costituita dai piedi della ragazza. C’è da riflettere sull’arte di Kubrick che, nonostante il gretto moralismo imperante all’epoca – oppure, in maniera paradossale, proprio grazie a esso –, riuscì a vincere la sfida dell’erotismo non mostrato, mentre ai nostri tempi parecchi cineasti, anche tecnicamente bravi, a volte mostrano tutto senza riuscire a evocare nulla.
Per quanto riguarda i temi dell’amore e della sessualità, infine, e di come possono essere intesi e vissuti in una società essenzialmente sessuofobica, vengono alla mente le parole di Friedrich Nietzsche: cupidigia e amore: come sentiamo diversamente ognuna di queste parole! – e tuttavia potrebbe essere lo stesso istinto che riceve due volte un nome. La Lolita di Nabokov e, in maniera diversa, quella di Kubrick, ci invitano a riflettere sulla genealogia della morale e su come questa sia interiorizzata nelle varie epoche storiche e praticata nelle relazioni all’interno delle diverse comunità umane.
Il successo del capolavoro di Nabokov e, forse, ancora di più quello del film di Kubrick hanno portato nel tempo all’uso giornalistico e popolare del termine lolita, per descrivere la precocità sessuale – tanto modaiola quanto pericolosa – di ragazze molto giovani che riproducono stili comportamentali che in genere appartengono alla vita relazionale di donne più mature. Le rivoluzioni avvenute nella sfera della sessualità, in effetti, sono state più teorizzate e urlate che realizzate, nel rispetto delle fasce sociali più deboli come quella degli adolescenti e, più in generale, della libertà d’azione delle donne. Una ribellione alle rigidità della morale tradizionale è avvenuta, soprattutto nella seconda metà del XX secolo, ma ha riguardato più i comportamenti individuali, di fatto poi catturati dal sedicente libero mercato del sistema economico e culturale nel quale viviamo, che li ha mercificati, bloccando la trasformazione dell’idea della sessualità da disvalore a valore, per una concreta e positiva emancipazione personale e sociale nelle relazioni tra gli esseri umani.