In Francia, a seguito di una protesta pubblica, di un’ondata di insulti e di minacce senza precedenti, Decathlon, il famoso rivenditore di abbigliamento sportivo, ha dovuto sospendere la vendita di hijab per le donne che fanno attività fisica. I politici locali, infatti, hanno dichiarato che l’indumento contraddice i valori laici del Paese, suggerendo quindi il boicottaggio del prodotto.
L’hijab, già venduto dall’azienda in Marocco, è un oggetto che era – ed è ancora – ampiamente sostenuto dal colosso francese che porta avanti l’obiettivo di rendere lo sport accessibile a tutte le donne del mondo, così come ha sostenuto il portavoce Xavier Rivoire alla radio di RTL aggiungendo che Decathlon stesse prendendo la decisione di non commercializzare più il prodotto in terra francese in questo determinato momento. La questione su come le donne musulmane vestono in pubblico ha spesso alimentato le polemiche nel Paese di Macron che, infatti, l’11 aprile del 2011, è stato il primo in Europa a bandire il velo islamico integrale nei luoghi pubblici. L’amministrazione che ha introdotto il divieto, ai tempi, aveva Nicolas Sarkozy come Presidente, il quale ha spesso affermato che i veli opprimono le donne e qualsiasi di questi indumenti, quindi anche l’hijab, non sono i benvenuti.
L’oggetto in questione, un velo semplice e leggero che va a coprire soltanto i capelli e non il viso, doveva essere messo in vendita, a partire dal mese di marzo, in quarantanove Paesi e già commercializzato in Francia, venduto da Nike, dal 2017. Il Ministro della Salute Agnès Buzyn, tuttavia, ha dichiarato che, sebbene un prodotto simile non sia vietato nel suo Stato, è una visione di donne che non condivido, preferirei se un marchio francese non promuovesse il velo.
Anche la portavoce del partito della République en Marche, Aurman Bergé, il partito di maggioranza, ha affrontato la questione su Twitter, suggerendo un boicottaggio: La mia scelta di donna e cittadino sarà quella di non fidarmi più di un marchio che si distacca dai nostri valori, ha affermato, ma non è mancata la risposta di Decathlon. Il nostro obiettivo è semplice: offrire alle donne che corrono con un hijab spesso inadatto, un prodotto sportivo adatto, senza giudizio. Le reazioni violente che si sono scatenate come conseguenza anche di queste parole, però, hanno spinto il brand ad andare oltre il – normale – desiderio di soddisfare le esigenze delle proprie clienti.
Attraverso rigide leggi per la laicità, la Francia sostiene che qualsiasi simbolo religioso esposto non preservi la neutralità richiesta a studenti e lavoratori del settore pubblico. Non a caso, il velo musulmano, anche se permesso negli spazi pubblici, è stato bandito nelle scuole statali e in qualche edificio pubblico dal 2004. A partire dal 2016, poi, alcune regioni hanno negato anche il burkini, un costume da bagno intero, ma entrambi i divieti sono stati in seguito dichiarati illegali dalla corte francese. Questi episodi hanno spinto molti gruppi per i diritti ad accusare la nazione di islamofobia e di stigmatizzare le donne musulmane dopo aver già vietato la copertura integrale nel 2010.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in cambio, ha confermato il divieto il 2 luglio 2014, dopo che una donna francese di 24 anni si era rivolta a essa sostenendo che tale provvedimento violasse la sua libertà di religione e di espressione. Intanto, la maggior parte della popolazione – compresi tanti musulmani – è d’accordo con il governo quando descrive il velo come un affronto ai valori della società, mentre i critici fuori dal territorio dicono che si tratti di una violazione delle libertà individuali.
Seppur l’utilizzo dell’hijab e di questi indumenti in generale possa non essere condiviso per il suo significato o per il concetto culturale spesso a esso legato, obbligare una persona a non indossare un determinato abito ha lo stesso significato dell’imporre a una donna – quando è imposto – un certo indumento. Il rispetto verso l’altro e verso una cultura non propria dovrebbe essere posto al di sopra del pensiero che si ha, di quello che potrebbe essere considerato persino inaccettabile. Se una donna usa l’hijab e non vuole toglierlo, troverà comunque il modo di indossarlo, anche quando svolge attività sportiva. Di certo, un progresso nella società e tra i singoli, finalizzato alla tolleranza, non si può ottenere attraverso divieti e riducendo la libertà di pensiero. Al contrario, la possibilità di scegliere dovrebbe essere sempre assicurata.