Ritiratevi tutti. Esordì così, Katia Tarasconi, consigliera regionale dell’Emilia Romagna, in forza al PD, nel corso del suo intervento all’Assemblea Nazionale dei dem del 17 novembre 2018. Il suo speech divenne virale in pochissime ore, la sinistra delusa già l’acclamava come nuovo volto delle istanze dei territori, dei lavoratori, della gente comune. All’indomani delle Elezioni Regionali in Abruzzo, dove il centrosinistra ha sì recuperato terreno rispetto alle scorse Politiche, ma l’ex Ulivo ha visto ridursi ancora di più la fiducia accordatagli dagli elettori, quel suo sfogo ci è tornato alla mente. E se partisse proprio da lei l’alternativa democratica al governo giallo-verde, come al PD stesso? L’abbiamo raggiunta e, esattamente come ci aspettavamo, ha offerto risposte su cui toccherebbe seriamente cominciare a riflettere.
Partiamo dalle Elezioni Regionali in Abruzzo. I dati dicono che qualcuno è tornato a votare a sinistra, ma non per il PD. È realistico pensare a una formazione alternativa?
«La cosa che a me preoccupa di più, guardando ai dati dell’Abruzzo, è la gente che non va a votare. Se non offriamo una proposta nuova, se non diamo credibilità a nuovi dirigenti, sarà sempre più difficile. Secondo me, ciò che ha saputo funzionare bene è stato il candidato, che aveva una sua reputazione personale, riuscendo quindi ad arginare l’emorragia di voti di cui soffre il centrosinistra. Ma abbiamo comunque perso! È anche vero che l’Abruzzo, storicamente, non mantiene una continuità amministrativa di un unico colore politico, cambia ogni cinque anni, è vero che siamo andati meglio, che abbiamo contenuto gli argini, ma non è abbastanza…»
Molti La considerano il volto del futuro del centrosinistra. Lei si riconosce in questa definizione?
«Mi sembra, onestamente, un po’ eccessiva. Nel mio piccolo, cerco di fare del mio meglio con le mie sole forze. Una cosa che spesso mi sento di dire, e che tanti mi hanno detto, è “sei la nuova Serracchiani”. Beh, mi sembra di aver dimostrato che non è assolutamente così. Il mio intervento all’Assemblea è nato dal cuore, dalla condivisione con tanti che la pensavano come me, non è stato qualcosa di preparato a tavolino con qualcun altro per portarmi della visibilità. Era necessità di urlare, di dire qualcosa che andava detto, e ci sarebbe tanto altro da dire ancora oggi. Ma se sei lì a criticare, a sottolineare i problemi, vieni etichettata come quella che vuole distruggere, e io non intendo distruggere, voglio semmai costruire. È una situazione molto complicata, anche la critica costruttiva rischia di essere letta come un qualcosa volto a demolire.»
Lei dice che il PD non ascolta, le sedi locali dicono che il PD non ascolta, gli insegnanti lamentano che non ha ascoltato durante la stesura della Buona Scuola, allo stesso modo i lavoratori del Jobs Act. La mia domanda è: perché il Partito Democratico non dà retta a nessuno?
«Innanzitutto, ascoltare è fatica. Ci vuole tempo, ognuno porta con sé la propria esperienza, le sue istanze. Non so se a livello nazionale non ascoltino perché non vogliano o siano, invece, convinti di farlo. Credo che i nostri dirigenti siano consapevoli di quello che stanno facendo e molti di loro hanno anche preso il mio sfogo in Assemblea come quello di una ragazzina che ha battuto i piedi. Ciò che è drammatico è che ho riportato un malessere, un malessere che non è solo mio, e di cui nessuno si sta facendo carico. Io, Katia, proprio perché non sono la Serracchiani, non ho qualcuno alle spalle. Non sono la risposta, la salvatrice della patria, sono conscia dei miei limiti. Però, qualcuno si prenda la briga di analizzare, con me o senza di me, cosa ha scatenato quell’intervento. Lo chiedessero ad altri, a quelli che l’hanno sentito proprio. In un PD come quello di oggi, dove c’è molto da ricostruire, c’è da andare a parlare con i territori, trovare le migliori energie che ci sono e aiutarle a uscire. Avremmo creato quantomeno la curiosità, la novità. A livello locale, abbiamo tanti dirigenti bravi. Inoltre, l’identità del PD qual è? Perché se oggi parliamo con le persone, e il loro problema principale sembra essere l’immigrazione e la sicurezza, qualcuno mi dice qual è la posizione del Partito Democratico? A parte il fatto che non faremmo morire la gente in mare, la nostra politica sull’immigrazione, qual è? Io non la so, e se non la so io…»
Qual è la ricetta, allora, per rifondare il PD? Le persone, ormai, non appena vedono il simbolo sembrano fuggire…
«È vero. Credo che la ricetta sia investire in un civismo molto maturo. Mi iscrissi al PD nel 2008 dopo un approccio alla politica nelle liste civiche. Pensai che un nome così, per un partito, fosse il senso del fare politica. Invece, andavo alle riunioni e i dirigenti DS litigavano con quelli della Margherita. E io, che non sono né l’uno né l’altro, dove mi colloco? Oggi, l’unico modo per ricominciare è da una nuova classe dirigente. Per quanto mi riguarda, ho scelto di non candidarmi alle primarie – e qualcuno me l’aveva anche chiesto – perché sarei stata uguale a quelli a cui avevo proposto di fare un passo indietro. Non era il modo giusto. Cosa fai, l’ennesimo partitino dal 2% sulla base di un trasporto emotivo di un singolo intervento? Uno non è sufficiente. Le cose si costruiscono con consapevolezza e una squadra. Dagli altri si impara, ognuno con le sue competenze. Quando ho detto che il PD è un agglomerato di singoli è vero. Mi piacerebbe tantissimo poter dare un contributo. Faccio un esempio banale: abbiamo una popolazione in cui gli ultrasessantenni sono in numero maggiore rispetto agli under 30. Quindi, la nostra popolazione è in gran parte anziana. Quali sono le politiche che stiamo sviluppando per loro che magari sono in pensione, ma hanno tempo e voglia da dedicare alla politica, al sociale? È il motivo per cui ha fatto presa Quota100.»
Qual è la Sua idea di Europa?
«È un’Europa che così com’è non va bene. L’unica cosa che noi dobbiamo e possiamo fare è stare in Europa ma pretendendo che sia diversa. Tutti quelli che hanno subito o pensano di aver subito dei torti dall’Unione non li si tranquillizza dicendogli “stiamo in Europa perché se andiamo fuori si sta peggio”. Il disagio là fuori è tanto. Tra la percezione e la realtà c’è spesso un mare enorme, ma chi fa politica deve anche farsi carico del percepito e deve dare delle risposte. Se ti dico che c’è caldo e tu hai i brividi, mi dirai che farà pure caldo ma hai freddo lo stesso. È inutile che io continui a metterti davanti a dei numeri, a dei fatti. Si può anche affermare, dati alla mano, che i reati sono diminuiti in numero importante, ma ci sarà sempre chi passando per la stazione di notte avrà paura. E io di quello devo farmi carico. Non lo convinco mica dicendogli che il Paese non è mai stato così sicuro.»
Perché i 5 Stelle, secondo Lei, hanno cominciato a perdere voti?
«I 5 Stelle insistono solo sul percepito, poi non sono in grado di metterci dentro le cose concrete. Perdono voti perché sono una contraddizione in tutto. Non si può fare una proposta e tornare indietro un attimo dopo. Manca esperienza, la gavetta, come in qualsiasi mestiere, è fondamentale. Nessun chirurgo opera a cuore aperto appena arrivato in sala operatoria. Loro dicono le cose ai giornali e poi se si sono sbagliati chi se ne frega. La coerenza è fondamentale. Inseguono la pancia, inseguono Salvini… ma lui porta tutto alla paura. Non bisogna inseguirlo sul suo terreno, né i 5 Stelle né noi. Bisogna fare l’opposto, essere un’altra cosa. C’è una cattiveria là fuori che è brutta e non riusciamo a dare risposte alternative.»
Pensa che uno tra Zingaretti, Martina e Giachetti potrà farsi carico di questo onere? Lei per chi voterà il prossimo 3 marzo alle Primarie del PD?
«Posso riservarmi di dirLe che lo decido il 2? Spero che vada tutto bene, che in tanti si rechino a votare, ma ho paura di una bassissima affluenza. E una bassa affluenza non è un gran segnale. Chi entusiasma tutto quello che noi stiamo facendo in questo momento? Se non c’è entusiasmo, non c’è nemmeno un po’ di sogno.»
Cos’è Altro Congresso? Può essere la base da cui ripartire di cui mi parlava in precedenza?
«Stiamo cercando di capire se riusciremo a portare qualche proposta a chiunque sarà il prossimo Segretario, chiedendogli di farsi carico delle istanze che abbiamo elaborato in questi due mesi di esperienza di gruppo. In pochi giorni si sono aggregate oltre 530 persone. In AC ci sono delle belle competenze che possono dare una mano. Ho fatto iscrivere al PD ragazzi che mi hanno contattato successivamente al mio intervento. Poi, però, vengono ai congressi, alle riunioni, ed escono demoralizzati perché decidono tutto da Roma.»
Lei non si pone il problema di farsi degli amici…
«Se erano amici, son rimasti tali. Del resto, non mi interessa. Se fai politica devi avere coraggio, e per avere coraggio devi essere libero.»