C’era una volta il regno di Serendip… Comincia così, tra storia e leggenda, la narrazione che riguarda la Serendipity, una parola con la quale si indica la logica della scoperta casuale o, in senso più ampio, il fenomeno della conoscenza accidentale. Nel linguaggio della vita quotidiana, si parla di fortuna, ma anche dell’abilità di trovare o scoprire qualcosa di non previsto mentre si cerca qualcos’altro.
Il temine Serendipity fu coniato da Horace Walpole (1717 – 1797), lo scrittore inglese autore de Il castello di Otranto, da molti considerato il primo romanzo gotico, quando nel 1754 scrisse una lettera a un suo amico che viveva a Firenze, raccontandogli le riflessioni ispirate dalla lettura dell’antica favola persiana de I tre prìncipi di Serendippo. Questo testo formato da più racconti fu tradotto in italiano nel 1548 da Cristoforo Armeno, uno scrittore di origini mediorientali, e stampato da un editore veneziano nel 1557. La favola racconta di Giaffèr, re di Serendip – l’antico nome persiano dell’isola di Sri Lanka – che un giorno decide di mettere alla prova l’educazione e l’intelligenza dei suoi tre figli, affidandoli a Beramo, re di Persia, per un viaggio nel quale si ritroveranno ad affrontare avventure in luoghi e soprattutto in situazioni impreviste, ma che faranno acquisire ai tre giovani una maggiore conoscenza del mondo reale.
Le diverse novelle che compongono il Peregrinaggio – termine con il quale inizia il lungo titolo originale del libro di Armeno – partono da fatti apparentemente semplici ma dalle conseguenze inattese, come quando, racconta Walpole, uno dei giovani nobili scoprì che un cammello cieco dall’occhio destro era passato da poco per la stessa strada, dato che l’erba era stata mangiata solo sul lato sinistro, dove appariva ridotta peggio che sul destro. Questa è la serendipità: caso, certo, ma anche sagacia, allenamento al ragionamento per deduzione e, in generale, scelta e pratica di uno stile di vita caratterizzato dalla capacità di lasciarsi sorprendere dagli accadimenti della vita, al di là di quello che è stato già appreso dal mondo personale e dalla tradizione culturale della comunità alla quale apparteniamo. Alla fine del favolistico viaggio, i tre prìncipi dimostrano al loro padre e monarca di avere le capacità per governare e uno tra loro diventerà re di Serendippo, un altro re dell’India e il terzo sposerà la figlia di Beramo, diventando in seguito re della Persia.
Dalle riflessioni della scienza e della filosofia fino alla letteratura e alle connessioni tra queste discipline che studiano gli esseri umani, la loro comunicazione e l’ambiente naturale e vitale nel quale sono immersi, sono tanti gli esempi nella storia del mondo e della conoscenza sulla presenza di serendipità: la legge della gravitazione universale – la mela che casca sulla testa di Newton! – oppure l’avventura inaspettata capitata al navigatore Cristoforo Colombo, alla fine del XV secolo, quando partì per arrivare nelle Indie Occidentali e invece inciampò sulle rive dello sconosciuto continente americano. E non è forse rintracciabile la stessa forma mentis nella scoperta della penicillina da parte di Fleming nel 1929, provocata da un incidente di laboratorio, e anche per l’invenzione della colla degli utili post-it, che pare sia nata per sbaglio dal lavoro di un ricercatore che stava tentando di realizzare un collante più forte di quelli già in commercio? Al di là degli esempi più noti, gli statistici ci informano che almeno la metà delle invenzioni scientifiche sia avvenuta grazie all’irruzione della serendipità all’interno di ricerche partite da ipotesi ideate per la verifica di teorie già accuratamente elaborate nelle loro impostazioni generali.
Uno studio rigoroso e al tempo stesso godibile del fenomeno è stato fatto dal grande sociologo Robert K. Merton – assieme a Elinor G. Barber – nel libro Viaggi e avventure della Serendipity. Saggio di semantica sociologica e sociologia della scienza (Il Mulino, 2002), nel quale viene ricordato che il modello della serendipity, in effetti, si realizza nell’incontro con un dato non previsto, ma anomalo e strategico che fornisce occasione allo sviluppo di una nuova teoria o all’ampliamento di una teoria già esistente. Insomma, l’apparente incongruenza provoca curiosità, stimola il ricercatore a trovare un senso al nuovo dato, a inquadrarlo in un più ampio orizzonte di conoscenze. Non è facile, comunque, cogliere il valore dell’imprevisto e delle sue potenzialità, se non ci si trova in un ambiente serendipitoso, un microambiente sociale dove esiste un’apertura mentale disposta a mettere in gioco il sistema conoscitivo di riferimento.
La serendipità, inoltre, può accadere nel campo della letteratura, come dice Andrea Zanzotto (1921 – 2011), quando al poeta capita quello che accadde proprio all’esploratore Colombo: miri a conquistare le Indie e raggiungi l’America. Nel campo dello spettacolo cinematografico, sono stati diversi i film che hanno richiamato l’attenzione dello spettatore sulla conoscenza casuale, come l’opera di Peter Chelsom che appartiene al genere della commedia sentimentale, intitolata proprio Serendipity. Quando l’amore è magia (2001). I protagonisti della pellicola sperimentano, in una storia troppo ammiccante, la magia di quell’incontro imprevisto che cambia la direzione dell’esistenza. Ci viene in mente, infine, un grande autore della musica pop come John Lennon, quando cantò che la vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a fare altri progetti, nella canzone Beautiful Boy (Darling Boy), scritta poco prima di morire, nel 1980.
In anni più recenti, infine, gli studiosi di diverse discipline hanno considerato la possibilità che la serendipità possa essere utile in termini di innovazione, perché nell’atteggiamento e nelle motivazioni di base che mette in moto ci sono la capacità di ascoltare la diversità e accettare l’errore e di usarli per i cambiamenti strategici nel mondo imprenditoriale e dei processi comunicativi in generale. E qui pensiamo alla vita digitale che costituisce l’ambiente, ci piaccia o meno, nel quale si svolgono tutte le nostre attività quotidiane, dalla formazione personale all’attività di lavoro fino a quello che facciamo sempre più fatica a chiamare tempo libero, inserito anch’esso nelle pratiche della comunicazione digitale. Speriamo che la serendipità, l’imprevisto e la sua consapevole pratica ci aiuti a trovare spazi di libertà e di necessaria umanità, proprio usando i meccanismi di comunicazione e di ricerca sociale, nei quali – con le modalità friendly e le più accattivanti immagini dell’onnipresente pubblicità – siamo sempre più categorizzati come profili e/o utenti, e incasellati nella folla solitaria presente sulla rete telematica globale.