La storia di Re Artù e della sua leggendaria spada Excalibur è conosciuta più o meno da tutti, non solo grazie ai libri che ne narrano le valorose gesta, ma anche ai numerosi adattamenti cinematografici e televisivi che queste hanno avuto. Quando si parla del Re che fu e che sarà non si può far a meno di ricordare tutti i cavalieri che sedevano con lui alla Tavola Rotonda: è inevitabile, quindi, pensare a un universo maschile fatto di uomini pronti ad affrontare avventure pericolose. In questo cosmo virile, però, tante sono anche le docili e ubbidienti damigelle, spesso in pericolo, e le dame, pronte a salvare con le loro arti Camelot. Tra le figure femminili del ciclo arturiano, tuttavia, ve n’è una che ha più notorietà: Morgana la Fata.
Come tutti i personaggi del mito, anche quello dell’Incantatrice ha subito innumerevoli variazioni nel corso dei secoli a seconda di chi ne ha narrato la storia. La prima apparizione di questa figura nella letteratura risale al 1148, quando Goffredo di Monmouth nel suo Vita Merlini, si riferisce a lei come alla maggiore delle nove sorelle che abitavano e governavano L’Isola dei Frutti, detta anche Isola Fortunata. Morgana qui è una figura positiva, capace di guarire le ferite inguaribili che avrebbero portato alla morte Artù. Tale caratterizzazione si trova, poi, anche in altri testi del periodo, come nell’Erec et Eneide (1163 ca. ) di Chrétien de Troyes dove, però, per la prima volta viene anche identificata come sorella del Re di Camelot. Il personaggio, dunque, sarebbe nato tra il XII e il XIII secolo d.C. e avrebbe avuto inizialmente un ruolo neutro, talvolta positivo, con il compito di salvare il portatore di Excalibur da morte certa. Tuttavia, questa visione non negativa comincia a macchiarsi nella seconda metà del XII secolo, quando in numerosi racconti in cui appare, come quelli di Gervasio e Giraud de Barri, inizia a svilupparsi lo schema del racconto morganiano per cui una fata attira l’eroe di cui è innamorata nel proprio mondo impedendogli di tornare al suo per tenerlo con sé.
Da figura incline al bene, dunque, Morgana si trasforma in portatrice di tutti i mali a partire dal Lancelot en prose, composto nella prima metà del XIII secolo, dove prova a negare ad Artù il ritorno a Camelot. Molto probabilmente questa nuova caratterizzazione della Fata deriva dalla paura medievale, sempre più dilagante tra la gente, degli esseri sovrannaturali originati da mitologie pagane, ma forse anche del timore che in quell’epoca veniva provato nei confronti delle donne che non rispettavano i canoni di sottomissione e passività imposti al genere femminile. In questo senso, Morgana appariva come coloro che venivano accusate di stregoneria, troppo libera e indipendente, e proprio per tale motivo la letteratura doveva assegnarle una rappresentazione negativa, che insegnasse a chi di lei leggeva che i suoi atteggiamenti erano sbagliati e da non seguire. Da allora, il personaggio ha avuto innumerevoli descrizioni, tra le quali la più celebre è sicuramente quella che ne fa Thomas Malory nel suo libro La Morte d’Arthur (1845), dove è figlia di Igraine e Garlois di Cornovaglia, sorellastra di Artù dotata di poteri sovrannaturali che sottrae Excalibur al Re e la dona al suo rivale Accolon. Nel romanzo, ella fa di tutto per porre fine al regno del fratello nato da altro padre, ma al termine sarà proprio lei che, una vota riconciliatasi con il Re, lo porterà ad Avalon per curargli le ferite fino al giorno del glorioso ritorno.
Dopo il Medioevo, Fata Morgana tende a sparire dalle riscritture dei racconti arturiani, che sempre più si concentrano sulla storia dei Cavalieri della Tavola Rotonda e sulle loro imprese, come quella della ricerca del Santo Graal. L’Incantratrice comincerà a riapparire nel XX secolo, sia nei rifacimenti scritti della storia di re Artù, sia nei suoi adattamenti per cinema e televisione: Morgana diventerà l’allieva di Merlino, la madre di Mordred (verrà quindi confusa con sua sorella Morgause), si macchierà di incesto, sarà la rivale di Ginevra e colei che condurrà Camelot alla rovina. Tra le sue rielaborazioni, la più affascinante è senza dubbio quella che ne viene fatta ne Le Nebbie di Avalon (1983) di Marion Zimmer Bradley, dove diventa narratrice delle vicende. Ispirata certamente a La Morte d’Arthur, Morgana diventa un personaggio ambivalente capace tanto di atti buoni, quanto di atti malvagi, che tuttavia le vengono giustificati. Ciò che più colpisce di questa figura, però, è la carica femminista di cui viene intrisa: nel suo romanzo, infatti, Bradley rende manifesto il proto-femminismo che ha sempre caratterizzato la Fata dalle origini rintracciate nelle figure di Medea, soprattutto nella dea gaelica Morrigan, che come lei è carica di ambivalenza, due personaggi che da sempre vengono considerati come simbolo della ribellione delle donne al ruolo di serva e di macchina riproduttrice come società vorrebbe.
Se Re Artù continua oggi a vivere e la leggenda vuole che un giorno egli risorga e torni da Avalon con vigore rinnovato a regnare su Albione, non c’è dubbio che anche Morgana continui a essere ricordata e che un giorno anche lei tornerà con il Re, pronta a lanciare nuovi incantesimi e guarire altre ferite.