Sbatti il mostro in prima pagina: sembra che questo sia il trend giornalistico degli ultimi anni, soprattutto se il reato o la vicenda da raccontare coinvolge cittadini stranieri, in particolar modo migranti. Che siano irregolari o con il permesso di soggiorno poco importa, come che siano richiedenti asilo sfuggiti a guerre spesso sostenute da multinazionali occidentali o, peggio, da Stati civilizzati che danno il loro silente benestare. Non importa nemmeno che siano scappati da epidemie, carestie e povertà estrema in cerca di un futuro migliore con un animo molto simile a quello di tantissimi nostri connazionali, i cosiddetti cervelli in fuga. Se hai la sfortuna di essere stato coinvolto in un fatto di cronaca, anche indirettamente, riceverai un trattamento diverso da quello riservato a un italiano. Sei un mostro, un criminale per partito preso, di cui scrivere in bella vista la nazionalità, il gruppo etnico, la religione. A volte definito soltanto clandestino, termine che di per sé non significa niente proprio come, soprattutto a inizio anni Novanta, veniva utilizzato extracomunitario.
Una caccia all’uomo e al mostro anche quando mostro non sei. Anche quando si scatena un processo mediatico prima ancora che giuridico dimenticandosi della presunzione di non colpevolezza, di quell’innocente fino a prova contraria riconosciuto sia dalla Costituzione Italiana (art.27, co.2) sia dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (art.6, co.2) in cui è affermato chiaramente che ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. Ovviamente questa attenzione quasi pruriginosa è riservata al cittadino straniero solo se è reo o presunto tale, non vittima. Al contrario, i numerosi fatti di cronaca che vedono bande di bulletti o squadroni organizzati che, alimentati da un odio razziale e una xenofobia sempre più in aumento, sono autori di tristi casi di violenza, questi vengono minimizzati o semplicemente ritenuti non degni di essere riportati.
A difesa di questa nascente anarchia terminologica, applicata senza criterio in maniera trasversale sia da testate palesemente faziose sia da quotidiani nazionali che dovrebbero mantenere una certa obiettività per quanto riguarda i propri contenuti, nel giugno 2008 è stata siglata, dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (CNOG) e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), la Carta di Roma. Un protocollo deontologico, un insieme di norme a cui devono attenersi tutti i giornalisti che trattano di immigrati, rifugiati, richiedenti asilo e vittime della tratta per una corretta informazione, libera, non pregiudizievole, e tanto più per tutelare le parti e i loro parenti coinvolti che, specie per le vittime della tratta, potrebbero essere in serio pericolo.
L’idea è nata dopo la triste vicenda della strage di Erba, nel lontano 2006, per cui il primo a essere indagato fu Azouz Marzouk, marito e padre di due delle vittime, che subì un accanimento mediatico durato giorni, fondato sulla semplice base della nazionalità tunisina e del fatto che avesse precedenti penali per spaccio. Si scoprì presto, tuttavia, che Marzouk era solo una vittima, ma la morbosità con cui fu presentata questa storia cominciò a turbare così tanto alcuni giornalisti da portare alla costituzione di un vero codice deontologico corredato da glossario. L’evoluzione naturale del documento, nel 2011, è stata un’associazione che porta il suo nome, l’Associazione Carta di Roma, che, con la formazione di osservatori locali, ha come obiettivo il controllo delle testate televisive, della carta stampata e dei giornali online – il settore giornalistico in cui sono presenti più titoli discriminatori –, la conseguente segnalazione di questi alla polizia postale e l’istanza di esposti. Uno strumento a cui riferirsi per applicare e far rispettare la verità dei fatti, fine ultimo del buon giornalismo che, soprattutto se ci si avvicina a temi così sensibili come l’immigrazione, dovrebbe avvalersi di associazioni umanitarie ed esperti del tema per ampliare il range delle fonti ed evitare la circolazioni di informazioni distorte che negli ultimi quattro anni sono cresciute esponenzialmente.
Anche attraverso titoli discriminatori è veicolato l’odio: gli stessi che si accaniscono sulla nazionalità oggi, ieri invece, almeno fino alla fine degli anni Sessanta, erano indirizzati agli italiani meridionali, con la stessa superficialità. Non era difficile trovare, su testate nazionali, titoli come Terrone fermato dalla polizia per furto o Meridionale indagato, portando numerosi problemi a quanti avessero abbandonato la propria città natale del Sud per andare a lavorare al Nord. Una storia lunga decenni fatta dalla mancanza di una corretta deontologia, Una storia che chissà se finirà.