Numeri. Nient’altro che numeri. È questo che ormai siamo diventate. Statistiche che non indignano, notizie da trasmettere in sordina, un trafiletto sul giornale che nessuno vuole leggere. Nasciamo donne, ma a chi volete che importi, il nostro compito è aggiornare le classifiche, anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno. Non abbiamo nome. Soltanto la settimana scorsa, in appena ventiquattro ore, tre di noi sono state uccise, massacrate da ciò che chiamate amore. Ma che razza di amore è quello che ti umilia, violenta, prende a pugni, che arriva persino ad ammazzarti? Stesso discorso, stesso numero, il 23 dicembre, l’anti-vigilia di Natale. Nemmeno le feste ci hanno risparmiato.
Sicilia, Campania, Trentino, Sardegna, ovunque nello Stivale si consumano tragedie che poi catalogate come femminicidi, omicidi di femmine, assassinii di genere. Anche nella morte siamo diverse. Soltanto nei primi dieci mesi di questo 2018 che va volgendo al termine, nel Bel Paese a morire siamo state in 106, aumentate del 37.6% rispetto al 2017, quando la percentuale si era attestata al 34.8% nel computo totale degli omicidi consumati. I dati mostrano che le violenze avvengono in famiglia (il 70.2%) e in coppia (il 65.2% nel gennaio-ottobre 2017). In particolare, dal gennaio del 2000 allo scorso 31 ottobre, le donne uccise sono state 3100, una media di più di tre a settimana, una ogni 72 ore. Per l’appunto, in quasi tre casi su quattro si è trattato di persone decedute per mano di un parente, di un partner o di un ex partner. D’altro canto, come si legge nel rapporto EU.R.E.S., Ricerche Economiche e Sociali, è la coppia l’ambito più a rischio, con ben 1426 vittime di coniugi, compagni, amanti o ex, pari al 66.1% dei femminicidi familiari e al 47.6% del totale delle persone uccise. Numeri destinati a crescere già nelle prossime ore. Basti pensare, infatti, che sebbene la somma totale degli omicidi stia tendenzialmente calando nell’intera nazione, ad aumentare in modo progressivo restano i delitti al femminile, come confermato anche dall’ISTAT: nel 2014 il rapporto era di cinque uomini uccisi ogni donna, ora è salito a una ogni due maschi.
Il Settentrione è l’area geografica più pericolosa poiché maggiore è la concentrazione di femminicidi. Discorso simile anche a livello regionale dove la Lombardia detiene il primato (24 nel 2017, 17% del totale, di cui 17 familiari) davanti a Lazio (9.2%), Puglia (9.2%), Campania (8.5%), Veneto (8.5%), Emilia Romagna (7.8%), Piemonte (7.1%), Sicilia (7.1%), Toscana (6.4%) e Sardegna (5.7%). A livello provinciale, infine, è l’area metropolitana di Roma a primeggiare, con 10 donne uccise (pari al 7.1% del totale), seguita da Milano (7 vittime di cui 6 all’interno del contesto familiare o amoroso), Bari, Caserta, Como, Catania (5) e Chieti, Parma, Taranto e Venezia (4).
Il forte collegamento con la dimensione domestica, tuttavia, non permette una statistica che sia effettivamente veritiera. Non a caso, all’alba della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, c’è stata un’aspra polemica tra le associazioni del settore e la Polizia di Stato. Quest’ultima, infatti, aveva diramato un comunicato in cui quantificava in 32 i femminicidi verificatisi fino a quel momento, circa 50 in meno rispetto ai dichiarati dalla Casa delle Donne di Bologna, l’unica banca dati italiana, visto che nel nostro Paese non esiste un osservatorio nazionale né, tantomeno, politiche simili a quelle intraprese nel settore sicurezza o nella lotta alla criminalità organizzata che invece tutelano maggiormente gli omicidi a danno degli uomini.
«Da oltre tredici anni noi raccogliamo i dati, e lo facciamo basandoci solo sulla cronaca, il che significa che anche i nostri sono ampiamente sottostimati. Al contrario di quanto sostiene la Polizia, purtroppo, il dato è abbastanza fermo, siamo sempre su circa 120 donne uccise all’anno. […] Quando analizzi gli omicidi devi sapere esattamente cos’è un femminicidio. Noi utilizziamo la definizione delle Nazioni Unite», aveva sentenziato Anna Pramstrahler della Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna. «Quel dato, anche rispetto alla serie storica degli anni passati, è veramente basso e dunque inverosimile», le aveva fatto eco Anna Romanin, Presidente del Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia Romagna e formatrice dell’istituto bolognese. A generare tale disputa potrebbero essere stati diversi fattori. In primis, sempre stando alla Polizia, la diminuzione dei cosiddetti reati spia, quali maltrattamenti in famiglia, stalking, percosse e violenze sessuali. Dati, anche in questo caso, che si rifanno alle denunce ufficiali e non a quelle ufficiose raccolte dai centri di ascolto. Al di là delle morti, infatti, il problema sta tutto qui, nella scarsa fiducia che i cittadini – nella fattispecie quelli per i quali è stato affisso un fiocco rosa alla nascita – nutrono nei confronti delle forze dell’ordine, di chi dovrebbe tutelarli anziché deriderli o sottovalutare le situazioni da loro prospettate.
Il più delle volte, gli omicidi sono soltanto l’ultimo atto di un pietoso e violento spettacolo iniziato tempo addietro quando la possessività, la gelosia, la frustrazione, il patriarcato si sono fatti spazio, sgomitando, tra lui e lei, tra noi e il nostro uomo, deturpando il volto dell’amore vero. Ammettere le violenze, tuttavia, non è mai semplice: ce ne facciamo una colpa, arriviamo a convincerci di essere noi la causa e la conseguenza, le scusanti spuntano insieme alle lacrime e al sangue. Così, quando denunciamo o chiediamo aiuto, oltre alla vergogna e all’umiliazione, il presentimento di non aver risolto nulla si fa insistente. Il 38.9% dei casi di femminicidi noti nel 2017 aveva già visto numerosi maltrattamenti fisici e psicologici. Nella maggioranza di questi (57.1%), inoltre, altre persone, fuori dalla coppia, erano a conoscenza di tali violenze, e nel 42.9% la vittima aveva sporto denuncia. Questo, però, non le ha impedito di morire. In effetti, sembra che nulla ce lo impedisca, e il rischio che non lo farà nemmeno il governo attualmente in carica è un brivido lungo la schiena difficile da ignorare, soprattutto finché di famiglia e donne continueranno a parlare Lorenzo Fontana e Simone Pillon, quelli per i quali non possiamo divorziare tantomeno abortire, piuttosto restare in casa a tenere caldo il focolare e a preparare la cena. Soprattutto finché a noi non spetterà una parità sociale e salariale che ci permetta una totale emancipazione mentale ed economica. Quindi, il coraggio di dire basta.