Se ci credi, puoi vederlo: ripensandoci bambini, tutti, almeno una volta, abbiamo avuto la certezza di scorgere il passaggio della slitta di Babbo Natale sopra i tetti dei nostri palazzoni di città. Rassicurati da mamma e papà, con la complicità di nonni e fratelli maggiori, ci siamo convinti che per davvero un vecchietto vestito di rosso e le sue fedeli renne distribuissero regali a chiunque nel mondo nella notte tra il 24 e il 25 dicembre, arrivando persino a vederlo attraversare le nuvole. Crescendo, invece, la magia è andata perdendosi e le lunghe attese alla finestra sono diventate una portata in più al cenone, un gioco da tavola, un film da guardare in famiglia o, per qualcun altro, l’occasione di andare a letto presto o alla messa di mezzanotte. Di colpo, quel signore generoso dalla barba bianca è scomparso dai nostri occhi ma anche dai nostri cuori.
Con il passare degli anni, stessa sorte è toccata poi anche a molti altri, a un esercito di Babbi Natale ignorati e dimenticati, al punto da trovare per loro un nome che non è altro che una grande – e grave – contraddizione in termini: invisibili, persone lasciate ai margini perché povere, sole, prive di affetti o di un focolare caldo a cui far ritorno la sera. Sono i senzatetto, i clochard, i barboni, quelli che è meglio allontanare dal centro cittadino e dalle vie dello shopping per non turbare gli acquisti natalizi, come successo lo scorso anno a Como, o per ripristinare il decoro urbano senza scandalizzare i turisti, come succede ogni giorno a Roma, alle porte di San Pietro, dove chi non ha una casa è costretto a raccogliere le proprie cose in un piccolo trolley, spesso una busta di fortuna, allontanarsi nel corso del giorno dai pressi del colonnato e farvi ritorno a tarda sera, nel tentativo di trovare un po’ di riparo nel mezzo della piazza che ospita la dimora del Signore. Uomini e donne della cui esistenza preferiamo non sapere, scegliendo di farli sparire non solo dal nostro quotidiano, ma anche dal nostro immaginario. In Italia, tuttavia, soltanto a febbraio del 2018 già superavano le 51mila unità, un numero oggettivamente troppo grande per essere accantonato o per fingere che non esista, ancor di più in un Paese dove nel 2017 si è stimato che il 28.9% delle persone residenti fosse a rischio di povertà o di esclusione sociale.
Gli indicatori, d’altro canto, ci svelano apertamente che non si diventa senzatetto da un giorno all’altro. I segnali sono tanti e reiterati fino al rischioso punto di non ritorno dove, però, l’invisibilità non è mai contemplata, mai se si tratta di esseri umani. E a Sud ce lo insegnano ancora una volta. Nonostante il Mezzogiorno resti l’area territoriale più esposta al rischio di povertà o esclusione sociale, con una percentuale pari al 44.4% – vergognosamente più alta del Nord Est (16.1%), del Nord Ovest (20.7%) e del Centro (25.3%), infatti, dal 19 dicembre, a Napoli, è operativo il servizio di docce con bagni per senza fissa dimora presso il Real Albergo dei Poveri, un’iniziativa facente parte del progetto Restituire la dignitàpromosso dalla Rotary Foundation in convenzione con l’Amministrazione, la quale appena due anni fa ha approvato la delibera per l’allestimento di un’area riservata a chi più ne ha bisogno tra le pareti di Palazzo Fuga che, quindi, potrebbe ritornare a coprire il suo vecchio ruolo di sostegno e ospitalità.
La proposta, firmata dagli Assessori alle Politiche Sociali e al Diritto alla Città, ai Beni Comuni e all’Urbanistica Roberta Gaeta e Carmine Piscopo, ha dunque visto la sua più concreta realizzazione. I lavori hanno coperto circa 240 metri quadri dell’intera struttura, finanziati per 74mila euro dalla fondazione e per la restante parte (a copertura dell’importo di 130mila euro) dal Comune capitanato da Luigi de Magistris. Ambienti divisi per uomini e donne e attenzione ai disabili per i quali è stata allestita una zona ad hoc: il progetto ha previsto la realizzazione di uno spazio di accoglienza diurno con servizi igienici e docce ospitati al piano terra di via Tanucci 9, attualmente fruibili per tre giorni alla settimana (lunedì e venerdì dalle 9 alle 12 e il mercoledì dalle 15 alle 18) in modo del tutto gratuito.
«Si realizza finalmente un sogno: sono 15 anni che stiamo lottando per l’Albergo dei Poveri, fra mille battaglie e mille sconfitte, ma è solo l’inizio. Qui ci sono 1500 metri quadrati che devono essere resi accessibili per davvero ed è fondamentale che vengano realizzati. Siamo grati al Comune perché questo è un atto politico. Non è carità verso i poveracci, è dare dignità agli ultimi, ai clochard, ai senza fissa dimora che, ricordo a tutti, per l’80% non sono stranieri, sono napoletani, per cui è un dovere della città, è un obbligo dei politici e degli amministratori offrire un servizio per dare dignità. Voglio davvero che questi cittadini possano farsi una doccia e, lentamente, vedere un medico, un avvocato, voglio che ci sia qui l’anagrafe. Devono sentirsi accolti e aiutati», ha detto padre Alex Zanotelli. A fargli eco, l’Assessore Gaeta: «Non è soltanto un servizio per la cura personale, […] è soprattutto un ristabilire una relazione con persone a cui magari potremmo dare delle risposte anche in altri termini, in termini di servizi, di sostegno e, quindi, favorire la fuoriuscita da una marginalità estrema che deve essere sempre più contrastata».
L’obiettivo, confermano le parti in causa, è quello di aspirare, perché no, anche alla possibilità di un cambio d’abito, a screening gratuiti, a consulenze legali e tanto altro. «In questo territorio, senza nessun conflitto sociale, ci sono ormai da tantissimi anni due dormitori pubblici che si trovano al quartiere Sanità e oggi anche lo spazio doccia, un posto che darà grande dignità alla città e che, soprattutto, servirà ad aiutare i più deboli. In un momento in cui sembra che il problema di questo Paese siano i poveri, la città di Napoli risponde in solidarietà con chi ne ha più bisogno», ha affermato Ivo Poggiani, Presidente della III Municipalità partenopea, rimarcando quella che è da sempre la linea segnata dal Primo Cittadino.
Gli invisibili, dunque, non esistono, non se si sceglie di vederli e sicuramente non a Napoli. Lì dove letto stretto, coricati in mezzo non è soltanto un detto, ma un modo di vivere la vita e l’altro.