Colori, neon e tanta innovazione: sono queste le tre parole che caratterizzano la mostra su Andy Warhol al Complesso del Vittoriano, organizzata dal Gruppo Arthemisia e curata da Matteo Bellenghi. In occasione del novantesimo anniversario della nascita dell’artista, fino al 3 febbraio 2019, l’Ala Brasini del complesso ospita, infatti, un’esposizione dedicata al creatore della Pop Art, ricordato per i suoi quadri ma soprattutto per la sua vita di eccessi e le sue idee rivoluzionare che hanno trasformato il linguaggio artistico e culturale degli anni Settanta e Ottanta.
Warhol iniziò la sua carriera come grafico pubblicitario ma solo quando aprì nel 1962 il suo studio, la Silver Factory, in un loft bianco specchiato di New York a oggi demolito, iniziò ad avere la fama da lui tanto bramata, trasformandolo nel centro della cultura della Grande Mela. L’artista riuscì a comprendere l’epoca in cui viveva e a trasformarla e plasmarla a suo piacimento usando un approccio innovativo all’immagine: in una società in cui contavano l’apparenza e lo status symbol, realtà non così distante da quella odierna dove tutto gira attorno all’immagine che diamo di noi sui social network, la sua invenzione fu quella di mettere al centro delle proprie opere icone significative, stereotipi di massa, riproposte però in serie. La più nota di queste è, senza dubbio, Marylin Monroe: la collezione Marylin (1967), infatti, che comprende dieci serigrafie della nota attrice, è l’esempio più ricordato ma non il solo. Andy riprodusse in serigrafia altri personaggi noti, come l’attrice Liz (1964) o il dittatore Mao (1972), ma anche se stesso con i Self Portrait (1986).
A prendere parte alla mostra anche un’altra nota realizzazione dell’artista: Campbell’s Soup (1969). Nonostante Warhol avesse precisato più volte di non volersi occupare di politica e sostenuto di non ricercare alcun messaggio impegnato nelle sue opere, questa serigrafia ne è un’eccezione: prendendo spunto da un feticcio delle abitudini americane, ovvero l’uso di questo marchio, l’artista criticò la massa e, al tempo stesso, definì il consumismo come il metro di uguaglianza delle classi. Campell’s Soup o altri prodotti abbattono il divario tra ricchi e poveri: Mentre guardi la pubblicità della Coca-Cola, sai che anche il tuo Presidente beve Coca-Cola, e anche tu puoi berla. Per quanto sia enorme il potere di acquisto di un milionario, la sua Coca-Cola non sarà più buona di quella di chiunque altro.
In linea con questo nuovo modo di fare arte, inoltre, sono esposte nell’Ala Brasini anche le T-Shirt: convinto che l’omologazione prenda forma dalla reiterazione delle immagini pubblicitarie, l’illustre esponente della Pop Art usò anche le magliette come tela, affinché il prodotto si diffondesse ovunque. «I suoi progetti, le sue opere, le sue creature hanno condizionato nel bene e nel male intere generazioni dalla fine degli anni Ottanta. Figura artistica poliforme, Warhol ha unito in un unicum l’arte del cinema, della musica, della moda», specifica Matteo Bellenghi, curatore della mostra.
Warhol, guidato dalla convinzione che fare affari fosse la migliore forma d’arte, riuscì così a stravolgere l’epoca in cui viveva e a far durare la sua celebrità ben più di quindici minuti.