Quando si sente parlare di violenza sessuale, la prima cosa a cui si pensa è la storia di un uomo che con la forza ha abusato psicologicamente o fisicamente di una donna. Mai ci immagineremmo che sia potuto accadere il contrario, ossia che una docile e fragile donzella abbia in qualche modo violentato un suo collega o il proprio compagno. Eppure, recentemente la cronaca non ha fatto altro che parlare del caso Argento-Bennett, per cui l’attrice, figlia del famoso regista, è stata accusata di aver molestato il giovane cantante e attore statunitense. Se ciò sia effettivamente successo non è ancora stato accertato, ma di sicuro l’episodio pone sotto i riflettori un abuso, nonché un crimine, fin troppo spesso ignorato che vede il maschio vittima.
Come per le donne, anche in questi casi quando si parla di violenza sessuale si fa riferimento a diversi tipi di brutalità: si va dalla molestia fino allo stupro con penetrazione, dall’abuso sul piano psicologico a quello fisico. Per di più, anche per loro questi atti di coercizione e sopruso avvengono tanto in ambienti domestici quanto lavorativi: una ricerca svolta dalla ricercatrice Lara Stemple all’Università della California (UCLA) ha messo in evidenza che i luoghi in cui gli uomini sono maggiormente vittime di tali turpi atti sono le prigioni e le regioni in cui si combattono conflitti armati e che a subirli sono soprattutto i bambini. Anche in Italia, però, il tema delle violenze su quello che viene generalmente definito il sesso forte è stato oggetto di qualche inchiesta: ad esempio, uno studio di una squadra di psicologici dell’associazione Donne e qualità della vita ha sottolineato che, su un campione di 1234 uomini, soltanto un decimo ha confessato di aver subito violenze e che di questi individui molti hanno avuto riluttanza a farlo. Ancora, nel febbraio 2018 l’ISTAT con i suoi dati ha mostrato che nel nostro Paese più di 3 milioni di uomini fra i 14 anni e i 65 anni sono stati vittime di una qualche forma di abuso sessuale.
Nonostante queste ricerche, tuttavia, non è facile raccogliere numeri effettivi sulla reale portata del fenomeno poiché, se le donne sono spesso restie a denunciare i loro aggressori, ancora di più lo sono gli uomini, i quali, quando trovano il coraggio di parlare, incontrano istituzioni di sicurezza pubblica e giudiziaria che stentano a credere alle loro dichiarazioni. Nella nostra società il fatto che le autorità non diano credito a chi afferma di essere stato violentato e che non esistano centri di violenza per il sesso forte dimostra che la violenza sessuale maschile è un vero e proprio tabù: se la cultura dello stupro normalizza tutte le turpezze ai danni dell’erroneamente etichettato gentil sesso, allo stesso modo la società patriarcale rende impossibile credere che un uomo possa rifiutare un rapporto sessuale, dotato com’è di una libidine più famelica di quella femminile, e che possa essere tanto debole da farsi sopraffare da una donna, ma anche da un altro individuo del suo stesso sesso. L’uomo è di natura forte: accettare di vederlo inerme mentre altri abusano di lui significa far venire meno la mascolinità su cui per anni si è costruito quel patriarcato che ha dichiarato la superiorità dell’uno sull’altro in famiglia, sul lavoro, nell’istruzione, in politica, nella vita: significherebbe far crollare quell’istituzione su cui, anche se oggi più celatamente di prima, fino ad adesso si è basata la società. La supremazia dell’uomo si trasforma in tal modo in una gabbia in cui egli si intrappola da solo, costringendolo ad accettare silenziosamente le violenze sessuali.
Ciò che si verifica, quindi, è che l’impossibilità di parlare di tale fenomeno ne perpetua l’ignoranza, continuando anche ad alimentare quella disparità di genere che, a quanto pare, nuoce non solo alle donne dominate, ma anche agli uomini-padroni che non hanno il diritto di sentirsi e mostrarsi fragili.