Gli oceani occupano il 70% del nostro pianeta, aiutano a regolarne il clima e producono più della metà dell’ossigeno che respiriamo. Nei mari ci bagniamo quando fa estremamente caldo e da tali distese di linfa azzurra ci procuriamo buona parte del cibo che portiamo in tavola. Tuttavia, queste immense superfici blu sono continuamente minacciate dall’inquinamento, che ne altera le caratteristiche, impedendo di usare l’acqua che le compongono per gli scopi a cui è solitamente designata.
Diverse sono le fonti di polluzione degli oceani, come, ad esempio, il petrolio scaricato da grandi imbarcazioni o le sostanze chimiche nocive gettate senza essere state prima depurate dalle industrie. Tra le cause di maggiore contaminazione vi è, però, quella dovuta a una sostanza dall’uso quotidiano: la plastica. Secondo la Stemming Tide, una ricerca fatta da Ocean Conservacy, circa l’80% dei rifiuti marini consiste in elementi realizzati con questa: precisamente, 8 tonnellate di celluloide finirebbero in acqua. Lo studio evidenzia, inoltre, anche un altro fattore, ossia il legame che intercorre tra l’inquinamento oceanico dovuto alla sostanza di cui sopra e la fauna marittima. I ricercatori hanno previsto, infatti, che nel 2050 negli oceani i pesci saranno in quantità minore rispetto agli scarti dell’uomo.
Oltre a essere una minaccia per l’acqua che compone gli oceani, quindi, la plastica è un vero e proprio pericolo per tutti i suoi abitanti. A oggi si conta che sono ben 690 le specie minacciate dai rifiuti presenti in mare, di queste il 17% è in pericolo d’estinzione e il 92% rischia di sparire proprio a causa delle tonnellate di celluloide di cui sono ricolme le nostre distese blu. A essere minacciati da questo pattume sono molluschi, pesci, tartarughe, cetacei e uccelli. Risulterebbe, infatti, che ben il 90% dei volatili marittimi abbia ingerito plastica e che, spesso, tartarughe e cetacei mangino sacchetti fatti di tale sostanza poiché da loro scambiati per meduse, lo stesso accadrebbe agli squali, per il cui naso, l’odore di questi rifiuti sarebbe lo stesso di quello delle loro prede. Per di più, è stato suggerito che il danneggiamento della fauna marina sia dovuto in particolar modo alle microplastiche (frammenti di plastica di grandezza minore di 5 mm), ingoiate con facilità inaudita da tutti gli abitanti degli oceani, provocando loro danni ad apparato digestivo, riproduttivo e non solo.
Bisogna anche aggiungere che i rifiuti inquinanti danneggiano non solo interiormente gli animali dimoranti i mari, ma anche esteriormente: reti, cavi attorcigliati, lenze e altri oggetti fabbricati con questo materiale provocano lesioni e malformazioni, più o meno gravi. Esempio lampante è la foto virale della verdesca pescata in Puglia, il cui naso risulta visibilmente deformato da un anello di plastica.
Sembrerebbe, quindi, che i nostri oceani si stiano mutando piano piano in mari di plastica, in cui è impossibile la sopravvivenza di qualsiasi forma di vita. L’uomo si sta rendendo responsabile, con lo smaltimento improprio della celluloide, della scomparsa di quelle acque per lui così fruttifere, dell’estinzione di innumerevoli specie e forse anche della sua, poiché non si rende conto che quella spazzatura ingerita dai pesci finisce inconsapevolmente anche nel suo stomaco.