Si è quasi sempre usato, parlando della pianta di Neapolis, i termini decumani, per indicare le strade longitudinali, e cardini per indicare quelle trasversali. Tuttavia, trattandosi di una città dall’impianto greco, sarebbe più corretto utilizzare i vocaboli plateai e stenopoi.
L’impianto urbanistico di Napoli, infatti, sembra essere stato costituito secondo lo schema ippodameo, detto così da Ippodamo di Mileto, un famoso architetto cui si attribuiscono i progetti di Atene, Rodi e Thurii: una città quadrata con un lato di circa 2.500 piedi (700 metri), strutturata su tre strade principali, larghe circa 6 metri, indirizzate da est a ovest e parallele fra di loro, dette appunto plateai – corrispondenti ai decumani romani, individuabili nelle odierne via Anticaglia, via Tribunali e via San Biagio dei Librai – e intersecate ortogonalmente da diciotto stenopoi, strade indirizzate da nord a sud e larghe circa tre metri che corrispondono ai cardi.
Le vie cittadine erano lastricate in pietra vesuviana e nei quadrivi erano scavati pozzi d’acqua a uso delle necessità pubbliche. Il primo nucleo residenziale di Neapolis era disposto nella parte più alta della collina, corrispondente alla zona dell’attuale via Costantinopoli, ma la ricca stratificazione relativa alla nuova città consente di affermare che nei primi tempi essa copriva uno spazio modesto, anche se il perimetro delle mura era molto più ampio. D’altronde ancora oggi è possibile leggere nella maglia regolare del tessuto ippodameo una ben circoscritta area dall’andamento irregolare. All’interno delle mura si snodava una strada che, attraversando la zona non impegnata dal primo nucleo urbano, si dirigeva alla porta situata presso Piazza Calenda. Ciò dimostra che i confini avevano un perimetro molto più ampio rispetto a quello che fu il primitivo nucleo abitativo e solo successivamente la città ebbe modo di espandersi fino a raggiungere la cinta muraria.
In particolare, il tratto della cinta murale che in origine coincideva con il lato orientale di via Mezzocannone, venne mutato dopo il 326 a.C., l’anno del trattato di alleanza con Roma. Fu così costruito lungo le vie Sedile di Porto, S. Maria la Nuova, S. Chiara e Pallonetto S. Chiara, e venne riunito alla torre che fiancheggiava, nel largo S. Domenico, la porta occidentale. Il primitivo muro, che giungeva sino all’altura dell’università, fu demolito nella sua parte inferiore (da via Nilo al vicoletto di Mezzocannone), per togliere una barriera tra la nuova costruzione e la città rimanente.
Per quanto riguarda il foro di Neapolis, posto in asse con il decumano maggiore, questo è ancora oggi visibile negli scavi della fondazione della Chiesa di San Lorenzo Maggiore grazie a una fortunata coincidenza. In epoca medioevale infatti, a seguito di violentissimi nubifragi, una colata di fango livellò quest’area che formava una sorta di valle. Di conseguenza, il nuovo piano stradale venne rialzato solo in suddetta zona di una decina di metri rispetto al reticolo viario preesistente.
Per contro, nel resto del territorio interessato, i decumani sono strade senza soluzione di continuità che si rifanno ai tracciati greci e romani, conseguentemente irraggiungibili. Ed è questo uno degli aspetti che determina l’unicità del centro storico di Napoli, entrato a far parte, non a caso, dei beni Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO.