Il Centro Studi Erich Fromm di Napoli, presieduto da Silvana Lautieri, ha festeggiato il 3 ottobre i suoi 28 anni di attività e la quarta edizione de Il giorno dell’uomo alla Sinagoga di Cappella Vecchia, consegnando al prof. Alfredo Tedeschi, decano della comunità ebraica, il Cavallo Lavico, per la sua attività al servizio del prossimo, del rispetto per la memoria e l’impegno verso le nuove generazioni, alla presenza, tra gli altri, della prof. Miriam Rebhurn e del prof. Paolo Ferrara. Un premio simbolo della forza delle idee che l’associazione, intitolata al filosofo tedesco, di origine israelita, promuove contro l’imbarbarimento culturale e la deriva dei valori.
Un legame profondo, emblematico con il popolo di Israele, vittima di un vergognoso declino della ragione, e con Fromm che partì proprio dalla ricostruzione sociologica delle origini della diaspora, del rabbinismo, dei rapporti con il cristianesimo e con l’islam, della forza della legge che garantisce identità al corpo sociale ebraico, per studiare le caratteristiche della società moderna. Ricerche collettive e interdisciplinari, che tenevano presenti i metodi della sociologia, della ricerca storica, dell’economia politica e del marxismo e analizzavano l’autoritarismo, il conformismo e l’alienazione che si presentano in forma più o meno latente, indagando sia gli ambiti economici sia quelli culturali e psicologici.
L’analisi più significativa compiuta da Fromm è quella relativa al tema della fuga dalla libertà che caratterizza la civiltà moderna, cui si contrappone l’idea di un mondo umano che sappia realizzare le istanze sociali e superare l’alienazione dell’uomo, che sappia vivere l’amore per la vita. Il nuovo umanesimo come frontiera di libertà, quindi, è stato l’argomento della riflessione proposta durante l’incontro dal sociologo Luigi Caramiello. Lo sviluppo della storia ha determinato una serie di conquiste quali il dominio sulla natura, la crescita della ragione, lo sviluppo della solidarietà verso altri uomini, ma ha causato anche isolamento, insicurezza, solitudine. La libertà degli uomini rispetto alla natura e ai legami della tradizione e delle consuetudini del passato è cresciuta ma ha determinato una perdita di significato dell’esistenza: l’uomo si sente solo, anonimo, impotente, vive in modo spersonalizzante il lavoro, è ridotto al ruolo di consumatore, avverte la propria limitatezza anche di fronte alle scelte politiche, rinuncia alla responsabilità e all’autonomia delle scelte, rendendosi disponibile a sottomettersi a un regime autoritario.
Autorità e autoritarismo, conformismo dilagante, il consumo che diventa fine a se stesso e produce nuovi bisogni, che fa perdere di vista l’uso delle cose, trasformando tutti noi in schiavi del possesso. Gli studi di Fromm si confermano di un’attualità straordinaria anche quando propone un’ipotesi di società, “mentalmente sana”, in cui l’uomo sia il centro dell’interesse delle attività economiche e produttive, principio di metodo dell’umanesimo moderno. «Il problema è mantenere viva, sulla più vasta scala possibile, l’indipendenza critica, la capacità di giudizio e di orientamento, la possibilità di lavoro intellettuale libero, disinteressato, autonomo, tanto più distaccato e aperto quanto più impegnato», ha affermato Delio Cantimori. Un dibattito ampio e contraddittorio in cui parlare di umanesimo significa ricordare come i semi, gettati in abbondanza dalla tradizione ebraico-cristiana che si è innestata sulla cultura greca e romana, abbiano prodotto una straordinaria fioritura di civiltà che si è espressa in tutti i campi, dalla letteratura all’arte, dalla filosofia all’esperienza religiosa, dalla politica all’organizzazione sociale. Un movimento che ha come fondamento la centralità dell’essere umano aperto e anelante alla trascendenza, capace di vivere in modo armonico tutte le dimensioni dell’esistenza, con una forte sensibilità per la dimensione sociale.
Il centro Studi Erich Fromm non perde occasione per favorire la riflessione sulle grandi tematiche del nostro tempo, per promuovere non utopie ma sistema dell’essere in una contemporaneità in cui l’Europa, dichiara Michele Ciliberti, è multiculturale e multireligiosa, saltano i paradigmi dell’appartenenza e il modello nazionale territoriale non è più un riferimento, sono cambiate le relazioni personali, nonché di coppia e, sotto i colpi delle nuove tecnologie, è cambiato il concetto stesso di Natura, il rapporto fra presente e passato, con la vita e con la morte. La vera grande sfida dell’Occidente si giocherà proprio sull’apertura all’aspetto spirituale della vita contro i rischi dell’arbitrio e del fondamentalismo, la mercificazione dei valori. Humanitas, dunque, come principio di educazione alla padronanza di una cultura, nella quale confluisce l’eredità del passato, che distingue l’uomo dagli animali, in cui la formazione nelle arti liberali non rimanga fine a se stessa ma si traduca nella volontà di far progredire l’umanità, libertà di scegliere l’emancipazione dal razionalismo sterile, poiché solo l’Uomo potrà salvare se stesso.