Non ricordo di aver mai festeggiato dopo aver sottoscritto un contratto di mutuo per l’acquisto della prima casa o un finanziamento per l’acquisto di un’auto o degli arredi. Anche mia moglie, che ha tanta memoria più di me, esclude di avermi visto stappare una bottiglia di spumante in tali occasioni, ma di un incremento delle nostre preoccupazioni e di un’attenzione quasi spasmodica al contenimento delle spese, certamente sì. Per questo, quando ho visto dalla balconata, non quella di Palazzo Venezia, ma del piano nobile di Palazzo Chigi sventolare fazzoletti e agitare mani in segno di esultanza con quanti si sono radunati sotto di esso per festeggiare l’aumento del debito del nostro Paese – che ha fatto dire al Ministro e Vicepresidente del Consiglio, nonché capo politico del M5S, Luigi Di Maio che abbiamo abolito la povertà –, in una frazione di secondo il mio sguardo si è incrociato con il suo e, insieme, ci siamo qualificati con una parolaccia per non aver capito nulla di nulla in tanti anni. Il mutuo, il finanziamento per l’auto, l’arredo, la cucina nuova, il tutto ancora da pagare in comode rate… Da stupidi non abbiamo contratto altri debiti e, magari, stappato quella bottiglia tra un sorriso e un abbraccio. Poveri imbecilli!
Prima di essere sommerso dalla valanga di epiteti e dalle ormai stantie frasi – Ma i governi precedenti non hanno aumentato tutti il debito? E il PD? –, vi rispondo: vero, assolutamente vero. Il solo ventennio berlusconiano ha portato il debito a una quota pari alla somma di tutti i debiti dei governi che lo hanno preceduto dalla formazione della Repubblica e, tranne Prodi, tutti quelli che si sono succeduti hanno fatto altrettanto, aumentandolo. Ma non è questo il tema che almeno adesso mi preme portare all’attenzione di quanti ci seguono – sebbene abbia una rilevanza notevole –, piuttosto il singolare atteggiamento di chi ritiene che lo sforamento che dovrebbe consentire di attuare alcune delle promesse elettorali – che addirittura permetterebbero di salvare quei circa sei milioni che vivono in povertà assoluta nel nostro Paese – sembra non solo azzardato ma anche alquanto ridicolo. Sia chiaro, il reddito di cittadinanza, che pare dover interessare soltanto un terzo dei bisognosi, se rigorosamente e seriamente normato, in particolare in questo tempo di crisi reale dei ceti più deboli che non riescono non ad arrivare a fine mese, ma a mettere il piatto a tavola tutti i giorni, è cosa più che giusta, come del resto esistente in quasi tutta Europa.
Una volta resi esecutivi i provvedimenti, possibilmente prima delle prossime elezioni europee, quindi, si dovrebbe procedere alla chiusura dei centri Caritas, delle mense dei vari istituti religiosi che quotidianamente provvedono ad assicurare due pasti al giorno, abolire quelle istituzioni negli enti locali che tra mille difficoltà cercano di risolvere problemi dei senzatetto e di chi non ha la possibilità di comprare neanche il latte e il pane per i propri figli. Una buona cosa, non c’è che da essere soddisfatti e prenderla a modello per poterla trasferire su scala internazionale al fine di sconfiggere quella tragedia che colpisce 870 milioni di persone secondo un recente rapporto della FAO. Abbiamo abolito la povertà, però, è un’affermazione che potrebbe giustificarsi se pronunciata da qualche giovane militante di primo pelo o dai tanti creduloni che si abbeverano a quella fonte inesauribile di sciocchezze che sgorga a fiumi su alcuni social, in verità non sempre solo a opera di singoli ma prevalentemente di utenti ben pilotati per diffondere ciò che si vuole e che serve alla causa della propaganda di una politica mediocre e becera.
Va detto e apprezzato che non si è ripetuta la scena del Presidente del Consiglio con cartello bene in vista come fatto per il discutibile Decreto Sicurezza di Salvini e che almeno questa volta un minimo di decenza è stato preservato. Tuttavia, non è ancora dato sapere con certezza se per beneficiare del reddito bisognerà dimostrare di essere italiani doc almeno da tre generazioni, perché la povertà e l’indigenza spettano prima agli italiani italiani secondo il verbo del Capitano–pensiero. Intanto, occorre far presto per i due decreti voluti dai Vicepresidenti e renderli esecutivi prima del prossimo 23 maggio, poi, magari, pensare ad allargare la platea dei beneficiari, respingere qualche nave di migranti e mandare a casa qualche decina di profughi.
Che il cambiamento si avverta non tanto nelle strategie di base ma nella comunicazione – non quella del confessionale di Casalino –, che è oggi più immediata, più entusiasmante, più goliardica, non c’è che dire. In fondo, a buona parte degli italiani basta vederli lavorare finalmente in modo diverso, meno spocchioso, meno protocollare e più genuino, perché poi, alla fine, so’ ragazzi.
Gran paese l’Italia!, non c’è limite al peggio!. Dopo il “ventennio Berlusconiano” siamo arrivati qui. Giuro, non avrei mai pensato, che nel 2018, avrei dovuto vivere in un paese con un personaggio come Matteo Salvini al Ministero dell’Interno. 17 italiani ogni 100, di quei pochi che sono andati alle urne, gli hanno dato il voto, e questo, ha comportamenti da rais del centr’Africa, neanche il suo approdo al potere fosse stato plebiscitario. Personalmente credo si sia imboccata una strada involutiva ed antistorica, c’è solo da augurarsi che il nostro popolo non tardi nel ravvedimento.