Contributo a cura di Eleonora Cepollaro
“È difficile restare arrabbiati quando c’è tanta bellezza nel mondo. A volte è come se la vedessi tutta insieme ed è troppa. Il cuore mi si riempie come un palloncino che sta per scoppiare. E poi mi ricordo di rilassarmi, e smetto di cercare di tenermela stretta. E dopo scorre attraverso me come pioggia, e io non posso provare altro che gratitudine, per ogni singolo momento della mia stupida, piccola, vita. Non avete la minima idea di cosa sto parlando, ne sono sicuro, ma non preoccupatevi: un giorno l’avrete!”
È con questa promessa di Lester Burnham, Kevin Spacey, che si chiude il pluripremiato film diretto da Sam Mendes, American Beauty.
Lester è un quarantaduenne, sopraffatto dalla routine della sua quotidianità, che cerca di evadere dalla condizione di prigionia iscritta in quel conformismo tipicamente borghese. La monotona vita di Lester è tutta avvolta in un’atmosfera cupa e grigia che si riflette nei colori degli abiti che indossa, fino al momento della ribellione, decisivo per la svolta.
La ribellione di Lester però non possiede la carica grintosa e la rabbia incandescente della rivolta adolescenziale, quando l’io è in piena costruzione. La sua è una ribellione di un io già maturo ma svilito dall’incapacità di rinnovarsi e cambiare colore.
Sarà Angela, la seducente amica di sua figlia Jane, a far risvegliare in Lester la passione, stimolando visioni e apparizioni fantastiche dominate da piogge rosse di petali di American Beauty, una varietà di rosa da cui prende il nome il film.
Angela è per Lester il motore del cambiamento, il riscatto di quell’istinto troppo a lungo represso, ma è proprio quando è sul punto di liberarlo che scopre l’inganno: la verginità della ragazza. È allora che il personaggio di Lester raggiunge la massima maturazione: declina la mela rossa dell’Eden, frenando i suoi istinti sessuali in favore di quelli paterni.
“C’era tutta un’intera vita dietro ogni cosa e un’incredibile forza benevola che voleva sapessi che non c’era motivo di avere paura, mai.”
Angela è solo un trucco, una delle tante maschere sotto cui si cela la bellezza, sì, perché la bellezza è una rosa che perde petali in continuazione ma conserva ogni singola spina. Angela è la possibilità di evadere dalla realtà e l’illusione di poter riaccarezzare la giovinezza, la stagione per eccellenza della bellezza, niente di meno, niente di più.
“In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.”
Lester Burnham presenta una certa somiglianza con Jep Gambardella, protagonista de La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, interpretato magistralmente da Toni Servillo. Entrambi infatti, seppure in modo diverso, si trovano a dover mettere in discussione se stessi e la propria vita rispondendo a un’esigenza interiore di autenticità che consenta loro di sanare le crepe aperte nei vari stadi della vita e creare una connessione con ciò che è stato, quindi con la loro giovinezza.
Jep Gambardella è un giornalista e critico teatrale che nella sua gioventù dà luce a un romanzo. Trasferitosi a Roma, Jep viene travolto dal vortice della mondanità che gli causerà un blocco creativo da cui non riuscirà a uscire.
Sarà la notizia della morte di Elisa, primo e probabilmente unico amore, insieme al compimento della sua sessantacinquesima primavera, a far sprofondare Gambardella in una riflessione acuta e incessante riguardo agli eventi della sua esistenza, fino a giungere a un’amara conclusione: “Ho cercato la grande bellezza e non l’ho trovata.” Ma forse Jep Gambardella l’ha cercata nei luoghi sbagliati.
Non negli eccessi barocchi, nelle volgari miserie, nella mondanità caotica, nella santità corrotta, nella politica decadente, nelle conversazioni prive di contenuto ma nella sua giovinezza, nell’amore per Elisa, nel suo primo romanzo andavano ricercati quegli sparuti incostanti sprazzi di bellezza.
“Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario: ecco la sua forza va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città, cose: è tutto inventato.”
Ed è in questo, nell’immaginazione, nella capacità di vedere lontano, di creare un altrove, di aggiungere altre vite alle nostre banali esistenze che consiste la Grande Bellezza.
Ma bisogna anche imparare a difendersi dalla bellezza: perché, come dice Lester Burnham, nel mondo ce n’è tanta e alle volte può far male.