Thriller, tensione, mistero. Sacro e profano. Cucina, tradizione, famiglia. Aglio, olio e assassino. È tutto questo e molto altro ancora l’ultimo sorprendente romanzo dello scrittore napoletano Pino Imperatore, già autore dei fortunatissimi episodi della famiglia Esposito. Dopo aver approcciato con disinvoltura alla scrittura umoristica, l’autore nativo di Milano, ma fortemente legato alla terra partenopea, mette la propria scrittura alla prova del genere che ha decretato le fortune di Andrea Camilleri, Maurizio De Giovanni, Marco Mavaldi: il giallo.
Si iscrive, Imperatore, da subito alla lista dei maestri del genere, forgiando una storia brillante, dinamica, appassionante, un mix di immagini e situazioni drammatiche raccontate nella cifra stilistica che è, ormai, il suo marchio di fabbrica, la sua firma più autentica: l’ironia. Come si può, quindi, narrare di brutali omicidii, strappando comunque un sorriso al lettore? La ricetta – è proprio il caso di dirlo – è semplicissima, ma non banale, gustosa quanto basta per incollarsi alle pagine del libro edito da DeA e arrivare veloci alla soluzione del caso. Un ispettore single, affascinante, tenebroso e spontaneo allo stesso tempo, il cui nome è già garanzia di succulente dispositive, Scapece. Una famiglia, quella di Francesco e Peppe Vitiello, proprietaria della trattoria Parthenope, a Mergellina, protagonista quanto i propri piatti dell’intera vicenda. E, infine, Napoli, città magica, in un matrimonio di immagini sacre e credenze popolari che farà da sfondo all’intreccio dell’indagine.
Lo abbiamo raggiunto, Pino Imperatore, già in cima a tutte le classifiche di vendita, con oltre 20mila copie vendute solo nel primo mese di promozione di Aglio, olio e assassino. Tra una risata e l’altra, che con lo scrittore napoletano non mancano mai, la chiacchierata scorre piacevole. Il giallo da risolvere, in questo caso, è sul futuro di questa storia e non solo.
Pino, quanto siamo lontani dalla verità se diciamo che questo è un libro che “dovevi scrivere”? Nel leggere Aglio, olio e assassino si avverte un’urgenza, una necessità…
«L’urgenza e la necessità mi sono giunte da Napoli, musa ispiratrice di tutti i miei romanzi, città inesauribile che vuole incessantemente raccontarsi e farsi raccontare. Non per mettersi in vetrina – non ne ha bisogno – ma per far sapere a tutti quanto è viva e speciale.»
Aglio, olio e assassino è il tuo primo giallo. Come mai hai deciso di approcciare a un genere completamente diverso da quelli in cui ti sei mosso in passato?
«Io mi diverto a sperimentare; mi piacciono le sfide e non resisto alla tentazione di visitare territori inesplorati. Allora mi son detto: provaci, a modo tuo. L’ho fatto, ed è stata un’operazione nello stesso tempo complicata e affascinante. Ne sono uscito arricchito come persona e come narratore. La vita è bella anche perché consente di provare esperienze sempre nuove e avvincenti.»
Il tutto, però, senza abbandonare il tuo marchio di fabbrica, l’ironia. Si può parlare di morti, di casi da risolvere, con l’ausilio della risata?
«Nella fase di stesura dell’opera, uno degli obiettivi da raggiungere è stato proprio quello di bilanciare le parti umoristiche con quelle drammatiche, cioè più strettamente legate all’indagine condotta dall’ispettore Scapece insieme alla sua squadra investigativa “allargata”. Io credo di esserci riuscito. Ma non spetta a me, bensì ai lettori, stabilire se ho superato l’esame.»
Altra componente inaspettata è la gastronomia. In che modo la cucina partenopea ha influenzato lo svolgersi dei fatti?
«La cultura enogastronomica napoletana ha nel romanzo un ruolo determinante, nel bene e nel male: dai piatti cucinati dai Vitiello nella trattoria Parthenope a quelli preparati dall’assassino. Non per tutti, purtroppo, il cibo è soltanto vita.»
Napoli è uno sfondo straordinario di questo romanzo. Sacro e profano si alternano di continuo, così come i miti e le leggende più o meno note della città. Cosa ti lega a queste? E in che modo sono presenti nella storia da te narrata?
«L’ho scritto nella postfazione del libro e qui lo ripeto: Napoli è una città in cui il sacro e il profano creano un sincretismo unico al mondo. La dea Iside e la Vergine Maria, Virgilio Mago e San Gennaro, il dio Nilo e le anime del Purgatorio, le chiese in superficie e le cripte nel sottosuolo, la venerazione dei santi e il culto delle capuzzelle, angeli accanto a diavoli, croci insieme a cornicelli. Questo mondo io vivo e questo mondo racconto. Aglio, olio e assassino è figlio degli incantesimi di Napoli.»
Questo libro ha già superato le 20mila copie vendute in un solo mese, sarà presente sotto tantissimi ombrelloni, alle tue presentazioni il pubblico non manca mai. Che rapporto hai con i tuoi lettori?
«Li adoro, tutti. E non lo dico per piaggeria. Ho con loro un rapporto diretto, spontaneo, verace, che in molti casi è diventato amicizia. Non smetterò mai di ringraziarli per l’entusiasmo, la simpatia e gli incoraggiamenti che mi donano ogni giorno.»
Dobbiamo aspettarci un sequel? In fondo, lasci un po’ una porta aperta a nuove indagini…
«Be’, le premesse ci sono tutte. Scapece ha altri assassini da catturare, quindi è probabile che torni in azione.»
Progetti futuri? Insomma, vado al dunque, ti faccio la domanda che ogni tuo lettore probabilmente ti vorrebbe porre: quando tornano gli Esposito?
«Più presto di quanto si possa immaginare. Forse.»