Nel bel mezzo dell’Atlantico del Nord, a metà strada tra l’Islanda e la Norvegia e a circa 320 metri dalle coste scozzesi, è situato un arcipelago formato da 18 isole, conosciuto come Isole Faroe. Incontaminate, con paesaggi mozzafiato, le Faroe sono una nazione autonoma all’interno del Regno di Danimarca. Popolate da circa 50mila abitanti e famose per le loro casette dai tetti colorati coperti d’erba, si presentano bucoliche a quanti le visitano per respirarne l’aria pulita. Tuttavia, non molti sanno che questi panorami pittoreschi sono scenari di eventi tutt’altro che idilliaci. È, infatti, sulle loro coste che si può assistere all’uccisione di innumerevoli esemplari di globicefali.
Le battute di caccia che i cittadini di questi luoghi compiono ogni anno per uccidere diversi esemplari di balene pilota, creature pacifiche dal carattere mansueto e socievole, che solitamente vivono in branco, vengono chiamate Grindadráp. L’assassinio avviene secondo modalità a dir poco barbariche: gli animali vengono attirati dai cacciatori e poi trainati sulla costa con un uncino – il blásturkrókur – infilato nello sfiatatoio, in seguito, una volta spiaggiati, vengono uccisi tramite la recisione del midollo spinale con un coltello. Piano piano, dunque, queste creature innocue si spengono nel dolore, non solo provate per il loro maltrattamento fisico, ma anche per la sparizione degli altri membri del gruppo.
Il mare che circonda le isole si tinge, quindi, di rosso più volte all’anno, solitamente tra luglio e settembre, ma questa volta le mattanze sono cominciate molto prima, nel mese di maggio, quando a essere trucidati sono stati circa 150 esemplari. Nel 2017 gli animali uccisi hanno superato gli oltre 1700, ci si chiede se quest’anno tale cifra sarà più alta o più bassa.
La caccia alle balene – così viene solitamente tradotto il termine Grindadráp – è un’attività perpetrata nel territorio sin dal 1500. In passato tale usanza era importante per la sopravvivenza economica del Paese: ogni parte dell’animale ucciso, infatti, veniva usata per produrre averi necessari al sostentamento degli abitanti del luogo. Ad esempio, la carne del cetaceo, oggi pericolosa da mangiare perché ricca di mercurio, era parte integrante della dieta dei cittadini. Ai nostri tempi, tuttavia, non è più possibile giustificare queste carneficine per ragioni economiche, visto che il commercio delle Isole Faroe fiorisce per numerose altre attività. Le molteplici immagini che si diffondono nel mondo e che ritraggono ragazzi giovanissimi con le mani sporche di sangue dimostrano che in realtà le Grindadráp non sono altro che la perpetuazione di una vera e propria crudele tradizione e dei riti di iniziazione che marcano il passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta.
È difficile pensare a un intervento ufficiale per fermare tali mattanze poiché, pur essendo la caccia alle balene esplicitamente vietata dall’Unione Europea, l’organizzazione è impossibilitata ad agire in quanto le Isole Faroe sono estranee alla sua giurisdizione. Per di più, impotente di fronte a questi assassini è anche l’International Whaling Commission (IWC), che tutela le balene a livello internazionale, dal momento che le vittime delle Grindadráp vengono classificate come piccoli cetacei e per questo non sotto la sua protezione. A osteggiare i tremendi bagni di sangue da circa trent’anni sta pensando, allora, l’Associazione Sea Shepard Conservation Society, fondata nel 1977 dal capitano Paul Watson, cofondatore di Greenpeace. Numerosi volontari hanno rischiato la loro vita pur di portare alla luce quanto succede in questi luoghi apparentemente idilliaci, mostrando che c’è del marcio vicino la Danimarca e che questo marcio va debellato, affinché gli animali non spariscano per sempre dai nostri mari.
Foto copertina di Foto di Lee Andron da Pixabay
Siete semplicemente da estirpare come popolo nn degno di vivere brutte merde schifose ..