Il Premio Strega è un riconoscimento letterario che, dal 1986, viene assegnato ogni anno all’autore di un libro pubblicato in Italia tra il primo aprile dell’anno precedente e l’ultimo giorno del mese di marzo dell’anno in corso. Gestito dalla Fondazione Bellonci, il premio è universalmente riconosciuto come il più prestigioso del panorama italiano e gode di grande fama non soltanto in Europa, ma in tutto il mondo.
Quest’anno, lo Strega ha un sapore davvero speciale, non soltanto perché dopo 15 anni una donna, nella persona di Helena Janeczek con La ragazza con la Leica, torna a vincerlo, ma anche perché il libro è dedicato a Gerda Taro, fotografa tedesca nota per i suoi reportage di guerra, morta appena ventiseienne travolta da un carro armato.
Gerta Pohorylle, vero nome di Gerda Taro, nacque da una famiglia di ebrei polacchi nel 1910, ma con l’avvento del nazismo fuggì a Parigi dove incontrò Endre Friedman, meglio conosciuto come Robert Capa, fotografo ungherese, del quale si innamorò ben presto. Ottenuto il tesserino da fotogiornalista, nel 1936, al suo fianco si recò in Spagna, dove i due condivisero tutto, dalla vita privata a quella lavorativa. La loro, infatti, fu in assoluto la storia d’amore più romantica del mondo della fotografia.
L’amore di lei nei confronti di Friedman non ebbe limiti: fu proprio questo sentimento così intenso e l’ammirazione per i suoi scatti che spinsero Gerda a inventarsi il mito del ricco fotografo americano Robert Capa, che non aveva mai visitato l’Europa e le cui origini erano avvolte nel mistero. Un intuito femminile che la portò a capire quanto l’alone di mistero potesse essere utile per far emergere un così giovane fotografo tra i tanti che bazzicavano nell’agenzia dove lavorava.
Tutto questo relegò Gerda a vivere nell’ombra di Robert, ma mai le sue fotografie furono meno valide di quelle del compagno, il quale, in cambio, ne comprese fin da subito il grande talento. La giovane realizzò diversi reportage che furono pubblicati su Regards e su Vu e, nel periodo in cui Capa era a Parigi, realizzò il suo più importante lavoro durante la battaglia di Brunete. Qui, Gerda fu testimone dei selvaggi bombardamenti dell’aviazione nazionalista, immortalando numerose immagini. Le sue foto narrano la guerra dalla parte dei repubblicani e hanno tutta la forza di chi è in grado di scattare stando vicino fisicamente, ma soprattutto emotivamente, ai propri soggetti.
Grazie alla penna di Helena Janeczek, quindi, la Taro, prima fotoreporter a morire in guerra, riacquista la fama che merita, quella di una donna ribelle, forte, antifascista che con la sua Leica voleva raccontare i disastri e gli orrori del conflitto civile spagnolo.
Ho capito che Gerda è un personaggio così forte perché passa come una stella cometa nelle vite degli amici e degli amanti; e sono gli sguardi degli altri che ne restituiscono tutto la luminescenza, tutta l’energia inafferrabile. Questa donna sapeva tirare fuori il meglio dagli altri, come accade quando ti innamori e provi energie nuove, ti senti potenziato… – Helena Janeczek