Dopo il Pride – un evento che include tutta la comunità LGBT e non solo quella omosessuale – tenutosi a Salerno il 26 maggio, il territorio campano ospiterà nei prossimi mesi altre due manifestazioni che mirano a celebrare l’amore arcobaleno e la diversità: una si terrà nel capoluogo partenopeo il 14 luglio, un’altra si svolgerà invece a Pompei il 26 giugno e sarà pubblicizzata tramite uno spot girato dal regista Nello Petrucci a cui hanno partecipato diversi attori, tra i quali Ciretta Coscina e Cristina Donadio.
È ormai comune che in molte città del mondo almeno una volta all’anno abbiano luogo questi cortei per festeggiare quello che viene definito orgoglio gay, incitando, quindi, alla fine delle discriminazioni e delle violenze contro omosessuali, bisessuali e transessuali. Rumorose ed esuberanti, suddette celebrazioni sono spesso definite indecenti per il modo in cui molti vi partecipano: mostrando nudità e costumi parecchio osé. Proprio per questa loro oscenità, non raramente, i Pride sono etichettati come manifestazioni inutili che non mirano altro che a ostentare la volgarità di quanti vi prendono parte. Alcune – ma forse tristemente è più giusto dire poche – delle persone che affermano ciò non sono necessariamente intolleranti verso forme d’amore diverse da quello eterosessuale o a persone la cui identità di genere non corrisponde alla loro corporeità, bensì sono solo incapaci di comprendere la ragione per cui questi eventi sono così come sono e, cioè, pieni di vitalità e di comportamenti estremi. Ma per meglio spiegare perché le parate devono necessariamente restare tali, è importante tornare alle loro origini e al loro significato storico.
Usualmente, molte Pride Parade hanno luogo intorno al 28 giugno, la Giornata Mondiale dell’Orgoglio LGBT, giorno in cui si ricorda quanto successe in quella stessa data nel 1969 a New York, quando ebbero inizio quelli che oggi vengono definiti Moti di Stonewall, una serie di scontri che coinvolse la polizia newyorkese e diversi gruppi LGBT.
L’inizio delle lotte si ebbe a causa di una delle tante retate che la NYPD effettuò ai danni della comunità in un periodo in cui gli omosessuali erano stigmatizzati – addirittura non potevano tenersi la mano in pubblico – e in cui vestire i panni che non venivano usualmente associati al proprio sesso era considerato un crimine contro natura. Se nelle sere passate queste incursioni nei locali frequentati da individui considerati criminali dalla polizia e dalla legge erano finite con diversi arresti, però, la notte del 28 giugno gli habitué dello Stonewall Inn non risposero alle provocazioni con la passività, ma con la violenza, dando il via a delle rappresaglie che portarono per la prima volta le vittime della reiterata intolleranza a ribellarsi pubblicamente contro le vessazioni e le discriminazioni subite.
Per non far dissolvere nel nulla lo spirito che aveva animato i tumulti, quindi, l’anno dopo, nel 1970, la comunità LGBT decise di organizzare una marcia commemorativa che partì da Greenwich Village e arrivò a Central Park, dando così vita alla prima Pride Parade che, sulla scia dei Moti di Stonewall, rivendicò il diritto a esporre la propria “diversità”, a mostrarsi così come si è e a lottare per creare una società inclusiva ed educata alla tolleranza. Da quel giorno, tale manifestazione divenne un’usanza che si diffuse a macchia d’olio da New York in tutto il mondo (in Italia per la prima volta si tenne a Sanremo nel 1972).
Compito del Pride, ieri e oggi, è quello di mettere in evidenza una “diversità” estrema in modo da sperare nel riconoscimento sociale e politico di una comunità più volte ignorata, anche se effettivamente esistente. L’esibizionismo che vi regna è uno strumento di lotta collettivo e politico che mira a rivelare una differenza che per la società è sempre stata scomoda. La musica, i balli, le “oscenità” sono una maniera per rivendicare il diritto del “non omologato” a esistere: non importa se sei uomo e ami un altro uomo, se sei donna e sei innamorata di un’altra donna, se sei un ragazzo e ti piace portare una gonna, se non sei parte della comunità LGBT, la Pride Parade ti fa capire che bisogna essere se stessi e che l’esagerazione è spesso necessaria per educare all’inclusività.