Per l’Irlanda, il divieto di aborto potrebbe diventare presto un vecchio ricordo. Venerdì 25 maggio, infatti, più di tre milioni di cittadini sono stati chiamati a un referendum che ha proposto di cambiare una delle leggi più restrittive d’Europa ancora in vigore.
Nel marzo di quest’anno, il governo irlandese aveva confermato, finalmente, l’interrogazione popolare dopo che al Senato era toccato approvare il disegno di legge grazie ai quaranta voti a favore al fronte dei dieci contrari. Un primo segno di cambiamento, un gesto di umanità, atteso da molti anni considerando che l’ottavo emendamento che vietava l’aborto in maniera così rigida era stato approvato attraverso referendum costituzionale nel lontano 1983 per proteggere il diritto alla vita di chi non è ancora nato.
Soltanto nel 1992, inoltre, erano stati introdotti due emendamenti che avevano dato un po’ di respiro alle donne irlandesi: il tredicesimo e il quattordicesimo con i quali si era stabilito rispettivamente che il divieto non avrebbe impedito di viaggiare fuori dallo Stato per interrompere la gravidanza né di fornire informazioni utili sui servizi di aborto esteri.
Ma come si può parlare di diritto alla vita quando l’interruzione della gestazione viene vietato in qualsiasi circostanza? In caso di stupro una donna non può abortire, in caso di anomalia fetale nemmeno, a meno che la sua vita non sia gravemente in pericolo. Eccezione, questa, ammessa molto tempo dopo, nel recentissimo 2013, quando l’ennesima morte aveva provocato scandalo e indignazione. In quell’occasione, si era trattato di Savita Halappanavar, dentista indiana che aveva avuto delle gravi complicanze della gravidanza e a cui i medici, che giurano di salvare vite umane, avevano negato l’aborto. La conseguenza di quel rifiuto, dunque, era stata una soltanto: la morte della donna, in seguito a una grave infezione.
Il caso forse più eclatante, tuttavia, risale al 1992, quando una ragazzina di 14 anni fu stuprata e restò incinta. Come se non bastasse il grave trauma subito, i giudici le negarono persino di andare nel Regno Unito per abortire. Per la giovane, quindi, l’unica soluzione disponibile ai suoi occhi era parso il suicidio. Fortunatamente, però, la Corte Suprema comprese l’assurdità della decisione presa invitando il governo a legiferare per consentire l’interruzione della gravidanza quando la vita della madre è a rischio, come in quel momento.
Sembra di tornare indietro nel tempo piuttosto che compiere passi in avanti verso il miglioramento della qualità dell’esistenza se si pensa che in Italia, nazione così retrograda rispetto a tante altre europee, il 22 maggio del 1978 venne approvata la legge 194 che garantisce il diritto all’aborto entro novanta giorni dal concepimento.
Ogni anno circa 3500 donne sono costrette a fuggire all’estero per poter abortire, ma per tutte quelle che non possono permettersi una spesa così alta – si parte dalle quattrocento alle duemila sterline – l’illegalità resta l’unica scelta, acquistando pillole online e rischiando 14 anni di prigione. Questo 25 maggio, quindi, potrebbe davvero entrare nella storia irlandese e cambiare per sempre la vita delle donne che avrebbero finalmente la possibilità di decidere cosa fare del proprio corpo. Non si tratta di calpestare un diritto alla vita, ma di dare una scelta a chi la rende qualcosa di possibile.