Mai con il PD, a meno che non convenga! In sostanza, quanto riassunto in quella che è, sì, una provocazione ma, al contempo, una fotografia della situazione politica attuale, potrebbe essere il titolo adatto a sintetizzare l’azione del MoVimento 5 Stelle all’indomani delle consultazioni affidate al Presidente della Camera, Roberto Fico, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Consultazioni che, stando a quanto affermato dallo stesso Fico, hanno prodotto un esito positivo, al contrario di tutti gli altri precedenti andati falliti dal giorno successivo alle elezioni del 4 marzo: «Abbiamo aperto un dialogo con il PD.»
Dove la Presidente del Senato Casellati aveva poche settimane fa ricavato soltanto un inaspettato buco nell’acqua – certi che il patto che ha tenuto in vita la precedente legislatura tra Renzi e Berlusconi avrebbe consentito all’accozzaglia di centrodestra di mandare in porto la nave anche stavolta –, pare abbia avuto la meglio il più improbabile dei soggetti in gioco, quel movimento che tanto fieramente, fino a oggi, aveva a ogni vento sbandierato la differenza tra la propria azione e quella ormai stantia della politica della Seconda Repubblica.
Luigi Di Maio, dalle sue pagine social, ha sottolineato l’azione della terza carica dello Stato, cambiando – ormai ci ha preso l’abitudine –, ancora una volta, le regole del gioco che i grillini stessi hanno, negli anni, creato a suon di slogan, Vaffa, offese alla moderna classe politica, e fake news, aprendo a quel Partito Democratico a cui hanno strappato una larghissima fetta dell’elettorato insoddisfatto, a quei dem che hanno costantemente attaccato anche contro ogni logica di buon senso – e buona educazione (si ricordi la diretta streaming del confronto tra Grillo e Bersani del 2013) – al solo fine di crescere nei numeri.
Va di moda, adesso, tra i pentastellati, parlare di interesse del Paese da anteporre a ogni logica di partito, a ogni principio del passato, confidando nella scarsa memoria dei loro seguaci, forse distratti negli ultimi cinque anni al punto da credere che i volti attualmente in maggioranza a Montecitorio siano nuovi alla giostra delle Camere e da cancellare i vergognosi silenzi che hanno accompagnato votazioni in tema di diritti civili o in merito ai rigurgiti razzisti e fascisti di cui, però, troppo spesso si sono alimentati i propri consensi.
Il movimento ha ormai ceduto alle logiche della politica, ai giochi di palazzo necessari a mantenere le redini del potere, a tutto ciò che negli ultimi trent’anni ha consentito alle forze attuali di mettere in ginocchio le classi deboli del Paese, mantenendo ogni forma di privilegio, alimentando guerra tra poveri e tifoseria politica. Ma agli adepti del web, che nulla e nessuno risparmiano, sembra comunque non bastare.
Dall’altro lato di questa nuova love story, ancora alla fase delle telefonate di nascosto dai genitori, ai bigliettini sotto il banco ti vuoi mettere con me?, c’è Maurizio Martina, neo-segretario del partito la cui leadership ancora pare appartenere a Matteo Renzi, che cercherà di mediare, alla prossima assemblea prevista per il 3 maggio, tra chi è favorevole a un accordo di governo basato su punti specifici con i 5 Stelle e chi, come Calenda, neanche valuta l’ipotesi di un accordo con il movimento che, appunto, ha fatto dell’antipolitica il motore della propria ascesa.
Bene ha scelto, a parer nostro, il leader democratico di aprire al dialogo, scongiurando quella che appare, a tutti gli effetti, come la peggiore delle sciagure, ossia un esecutivo telecomandato da Berlusconi. Tuttavia, le differenze che Grillo e co. hanno spesso marcato è bene che sia proprio il PD, in questa fase, a garantirle. E non parliamo di modalità, ma di dignità. Perché se è pur vero che i dem si sono resi colpevoli di scelte scellerate, logiche solo alla casta, è altrettanto certo che non si può darla vinta a chi ha aizzato per anni i propri seguaci e ora tenta di convincerli della bontà della mediazione.
La chiarezza su temi quali scuola, lavoro, euro, Europa e vaccini dev’essere la base fondante di un eventuale accordo – perché che lo si voglia chiamare contratto o stretta di mano, sempre un accordo, un’alleanza resta (!) – che porterebbe al Colle Luigi di Maio o chi per lui. Dovesse fallire anche quello che sembra l’ultimo, disperato tentativo di dare un governo all’Italia, il ritorno alle urne sarebbe – a meno di colpi di scena che non ci sentiamo di escludere quando Berlusconi è ancora in pista a ballare – l’unica soluzione possibile.
Mai con il PD, a meno che non convenga! I populisti, che siano vestiti di verde o coperti di stelle, hanno il loro nuovo motto.