In Egitto, nella regione del Sinai, si erge il monastero di Santa Caterina, chiamato anche della Trasfigurazione. Collocato ai piedi del Monte di Mosè che sembra quasi fargli da scudo, è il monastero cristiano più antico esistente. Con la sua bellezza architettonica bizantina e una biblioteca di testi antichi seconda soltanto alla Biblioteca Apostolica di Città del Vaticano, l’edificio è testimone monumentale dell’importanza storica del cristianesimo nella Repubblica araba.
Circondati da una cinta muraria in pietra, si elevano diversi edifici del monastero, tra cui la moschea, la biblioteca e la chiesa. Quest’ultima, che prende il nome di Katholikon, al suo interno è decorata da mosaici su una base d’oro in stile bizantino e ospita il reliquiario di Santa Caterina d’Alessandria. Ciò che suscita particolare interesse è, però, il roveto ardente, che secondo la Bibbia è stato il canale attraverso il quale Dio ha manifestato la propria voce per parlare a Mosè. Accanto alla chiesa sono presenti un campanile e la bianca moschea dei Fatimidi, mentre il lato occidentale è sovrastato dall’antichissima biblioteca. Fuori dalle mura è presente un piccolo giardino ombreggiato da alcune piante, un punto verde nell’immensità marroncina di un deserto che appare sconfinato.
Nel maggio dello scorso anno, si era sentito parlare del monastero in seguito a un attacco terroristico a pochi passi da esso, presso il check-point della polizia egiziana. Il caso ha voluto che solo otto mesi dopo abbiano avuto inizio i lavori di restauro, costituendo per il Paese una sorta di reazione simbolica alle stragi di un gruppo da cui prende totalmente le distanze e, anzi, di cui è spesso stato vittima.
È una meta imperdibile per chiunque sia curioso o studioso di teologia, giacché viene considerata il crocevia delle tre religioni monoteiste più diffuse: cristianesimo, islam ed ebraismo. È anche custode di un tesoro prezioso per filologi, studiosi di lingue antiche e ricercatori sulla storia dell’Egitto medievale, poiché la biblioteca è ricca di manoscritti redatti in lingue di cui alcune ci erano fino a poco tempo fa sconosciute. Difatti, oltre al greco, l’arabo e il latino, sono state identificate pagine scritte in un idioma definito aramaico cristiano palestinese. I testi ivi conservati ci dicono, inoltre, che le Sacre Scritture cristiane erano tradotte in arabo, dimostrando che vi sono stati un tempo e un luogo in cui la religione rappresentava un’opportunità di scambi culturali piuttosto che una menzogna con cui giustificare guerre e pregiudizi.
Nel suo forte legame con valori antichi ormai perduti e immerso in una sorta di isolamento dal resto del mondo, il monastero appare infatti fuori dal tempo e dallo spazio, ci dona uno scorcio su ideali di fratellanza per cui in passato abbiamo combattuto e che oggi abbiamo dimenticato. In questo luogo che non si è lasciato corrompere da un presente improntato dall’avidità e amante degli scontri per interessi di potere e denaro, un mondo incapace di superare le differenze, è possibile entrare in contatto con l’antico piacere di condividere e diffondere culture differenti attraverso i libri, strumento di avvicinamento al diverso. In questo punto d’incontro con diverse religioni e realtà, è ancora possibile sentirsi accomunati da storie e leggende su cui si sono fondate intere civiltà, si è ancora capaci di abbattere barriere ideologiche e politiche in nome di un passato che ci ha visti in cooperazione gli uni con gli altri.
Pur essendo un monastero prettamente cristiano, resta un gran motivo di orgoglio per il mondo arabo perché, a differenza di quello che pensa la maggioranza delle persone, nelle città di religione musulmana è possibile incontrare diverse cattedrali di natura cristiana, che mai gli arabi si sono sognati di spazzare via in nome di un integralismo che esiste più nelle nostre teste che in molti di quei luoghi.