Nel cuore di Roma, al civico 26 di Piazza di Spagna, c’è un piccolo edificio che passa spesso inosservato agli occhi dei turisti ma che, invece, rappresenta un vero e proprio tesoro per tutti quelli che amano la poesia romantica inglese. Lo stabile in questione è la Keats-Shelley House, la casa che il poeta John Keats abitò per quattro mesi prima di spegnersi nella capitale italiana la sera del 23 febbraio 1821.
Quando arrivò all’ombra del Colosseo, Keats aveva quasi 25 anni. Non era venuto in visita nel Bel Paese, come facevano molti suoi coetanei per compire il Grand Tour, fondamentale all’epoca nella formazione dei gentiluomini, ma per godere del clima mite che, secondo il suo dottore, James Clark, lo avrebbe aiutato a trovare sollievo da quella malattia che lo stava consumando e che aveva ucciso sua madre e suo fratello: la tubercolosi. Così, il giovane autore di Ode to a Nigthingale, al tempo tutt’altro che celebre e spesso criticato per i suoi scritti, venne ad abitare con il fedele amico Joseph Severn il secondo piano di quella palazzina che ancora ne ospita molte memorie.
Fondato nel 1903, grazie a coloro che con dei finanziamenti impedirono l’imminente demolizione dell’immobile che lo ospita, il museo di Keats e Shelley è oggi una tappa fondamentale per quanti arrivano a Roma per porre omaggio allo scrittore inglese e ai suoi compagni. A esso si accede da un portoncino in legno situato a destra della scalinata di Trinità dei Monti. Già all’entrata un’atmosfera quasi sacra accoglie il visitatore: la sensazione che si prova è quella di essere arrivati finalmente, dopo un lungo pellegrinaggio, a un santuario dedicato a tutti quegli artisti d’Oltremanica che trovarono ispirazione nei bucolici paesaggi italiani. Salite due rampe di scale e fatta visita alla biglietteria – che funge anche da souvenir gift shop – si accede, poi, a quegli ambienti che quasi duecento anni fa furono abitati dal verseggiatore di Albione.
La prima stanza ad accogliere l’ospite è quella che nel 1820 fu il salone che oggi conserva una ricca collezione di libri, ritratti e manoscritti. Numerosi sono i titoli che si possono leggere tra gli scaffali in legno: Byron, Percy Shelley, Browning, e così via. Tra i tesori ospitati in questa parte dello stabile, inoltre, vi sono uno scrittoio che sembra fosse di proprietà dell’autrice di Frankenstein, Mary Shelley, delle ciocche di capelli appartenute a diversi scrittori – tra le quali spiccano quella dello stesso Keats e quella dell’autore del Paradise Lost, John Milton – e una prima edizione dell’Adonais, il poema dedicato da Percy Bysshe Shelley proprio a colui che compose l’Adonais alla sua morte. Dalla finestra, invece, si può scorgere la terrazza che affaccia sulla Chiesa della Trinità dei Monti e a cui si accede da una delle camere adiacenti. In passato questo spazio era occupato dalla cucina, adesso è stato trasformato in un piccolo altarino dedicato a letterati di diversa origine, di cui si conservano non solo manoscritti, ma anche lettere. Inoltre, se da un lato dell’ampio salone si accede a quella che oggi viene detta Sala della terrazza, dall’altro si entra nelle stanze che funsero da dimora rispettivamente a Joseph Severn e a John Keats.
Quella che una volta era la camera da letto dal pittore John Severn e che accoglieva un piccolo pianoforte dove l’artista suonava le sinfonie di Hayden, oggi contiene, insieme ad altre cose, diversi quadri da lui dipinti, tra cui un ritratto raffigurante John Keats a 23 anni, che fu donato dal rimatore poco prima di partire per l’Italia alla sua amata Funny Browne, della quale nella stessa stanza si può contemplare una silhouette di Augustin Édouart del 1823.
In questo ambiente è inoltre possibile osservare una maschera in cera del viso dello scrittore dell’Hyperion realizzata nel 1816. Tale maschera sembrerebbe particolarmente somigliante al vero viso del giovane, tanto che così fu descritta da sua sorella: una perfetta copia delle sembianze del mio caro fratello… È perfetta, eccetto che per la bocca: le labbra sono piuttosto spesse e in qualche maniera compresse. Tutto questo rende l’espressione più severa di quanto lo sia quella dolce e mite dell’originale.
Proseguendo, dal vano che fu abitato da Severn, è possibile passare attraverso una porta di legno che consente l’ingresso alle mura che ospitarono il vate durante i suoi ultimi mesi di vita. Se negli altri locali dell’alloggio viene naturale commentare quanto si vede, qui, come ci si mette piede, si sente il bisogno di stare in silenzio mentre ci si immagina il poeta intento a leggere e scrivere sullo scrittoio all’ingresso. In realtà, quel mobile, come ognuno di quelli che sono nella stanza, non è mai appartenuto a Keats: tutto quello che egli possedeva e che entrò con lui in contatto fu infatti bruciato, per ordine della Chiesa, subito dopo la sua morte per impedire, secondo le credenze del tempo, la diffusione della malattia. In questa camera le uniche cose che non sono cambiate da quando Keats la abitò sono il caratteristico soffitto decorato con fiori e il caminetto. Eppure, quando si osserva quel letto a forma di barca del 1820 sembra di scorgere il viso del versatore, impresso nella maschera mortuaria situata accanto al giaciglio, vivere i suoi ultimi attimi di vita: è andato – è morto nella più perfetta pace… il 23 febbraio (venerdì) alle 4:30 la morte si avvicinò – “Severn – S – sollevami perché sto morendo – morirò con facilità – non aver paura – grazie a Dio è arrivata.” – lo sollevai tra le mie braccia. E il muco sembrava ribollire nella sua gola – continuò a peggiorare fino alle 11 di notte, quando annegò nella morte – così tranquillo che io continuai a pensare che stesse dormendo…