Nel 1871, l’inglese Richard Leach Maddox pubblicò un articolo sul British Journal of Photography in cui presentava la ricetta chimica di una nuova emulsione fotografica di sua invenzione, ottenuta con la gelatina.
Maddox, infatti, aveva sciolto nella gelatina il bromuro di cadmio e il nitrato d’argento, formando così per reazione il bromuro d’argento, una miscela che soppiantò rapidamente quella al collodio, in quanto più difficoltosa da utilizzare per la sua poca sensibilità alla luce. L’inglese apportò, in questo modo, un grande salto di qualità al procedimento fotografico negativo/positivo inducendo l’industria, intorno al 1880, a interessarsi maggiormente alla fotografia. Si iniziarono, allora, a produrre i negativi in vetro alla gelatina in confezioni di diverse dimensioni, pronte all’uso e durevoli nel tempo.
Con l’emulsione alla gelatina ci furono incredibili miglioramenti nella qualità delle immagini poiché, essendo più sensibile e quindi più veloce all’esposizione della luce, essa permise di fissare in una frazione di secondo soggetti in movimento. Come conseguenza di questo grande successo, anche l’indotto nel campo fotografico, le ottiche, gli apparecchi fotografici e le carte per i positivi ebbero un notevole impulso. Fu proprio in questo periodo, infatti, che il legame tra pittura e fotografia si fece più forte in quanto la prima era tesa sempre più verso una scienza della visione, mentre la seconda era considerata strumento ineguagliabile tanto per l’arte quanto per le scienze.
Nonostante i passi in avanti e i miglioramenti della tecnica del negativo, però, le emulsioni restarono parzialmente sensibili allo spettro luminoso e per nulla sensibili al rosso e all’arancione. Per tale motivo vennero chiamate ortocromatiche. Hermann Wilhelm Vogel, chimico e insegnante di fotografia alla Technische Hochschule di Berlino, nel 1873, condusse quindi alcuni esperimenti sulla sensibilità dell’emulsione fotografica ai colori, scoprendo che se si aggiungevano coloranti azzurri alla miscela, il negativo diventava più sensibile al giallo, mentre invece se si aggiungeva il verde, si assorbivano i raggi rossi. Proseguendo con questi esperimenti, nel 1890, Vogel riuscì a mettere a punto un’emulsione sensibile a tutti i colori dello spettro luminoso, chiamata pancromatica, che riusciva a tradurre in bianco e nero le lunghezze d’onda di tutte le tinte dello spettro in modo analogo alla visione umana.
Le diapositive alla gelatina bromuro d’argento su vetro si ottenevano direttamente dal contatto tra negativo e negativo realizzando un’immagine positiva delle stesse dimensioni dell’originale. Al lato dell’emulsione veniva applicato un altro vetro di uguale grandezza, così da proteggerlo dalla polvere e da eventuali abrasioni, sigillando infine le due lastre con carta gommata. Le diapositive venivano spesso ritoccate e colorate in modo da rendere più gradevole l’immagine e rafforzare i contrasti. I colori utilizzati dovevano essere particolarmente trasparenti, preferendo i pigmenti all’anilina o gli acquerelli.