Il compositore e poeta Fiumanò Domenico Violi è tornato sulle scene, dopo un lungo periodo di assenza, il 19 gennaio scorso con il suo nuovo concept album 9 minuti 9 dalla forte caratterizzazione sociale. Il lavoro racconta degli ultimi, degli emarginati, degli esclusi, e lo fa con melodie malinconiche e dolci che sono un inno alla sacralità della vita, che in nessun caso può e deve essere sacrificata.
Fiumanò incarna perfettamente l’immagine del narratore che con il suo impegno sociale denuncia limiti e contraddizioni della società, smascherando gli stereotipi e invitando il suo pubblico a guardare in faccia la triste realtà delle sistematiche violazioni dei diritti.
9 minuti 9 è un album tratto da corrispondenze epistolari con detenuti ed ex reclusi che hanno recuperato il passo a nuova vita, ma rappresenta anche il viaggio interiore e personale dell’artista che ritorna, attraverso brani come Nu Cantu Antico, alla sua terra di Calabria e in particolare a ciò che determinò il grande esodo dei bastimenti dei primi anni del Novecento da quelle aree geografiche a sud che ancora oggi versano in gravi disagi per mancanza di lavoro. Con i suoni e i colori del Mediterraneo affronta i ricordi di quel sacrificio e ne fa un racconto che rende poi la fuga da ogni terra in fuga l’occasione per affrontare temi come l’immigrazione e il diritto alla vita, servendosi di densi simbolismi.
A dare il titolo all’intero concept album è il brano 9 minuti 9, che racconta gli ultimi istanti di un condannato a morte e afferma forte e chiaro che l’idea di giustizia è del tutto incompatibile con la morte. Intimamente collegata a questo tema è anche Non in mio nome, in cui ogni uomo giustiziato, a torto o ragione, appare sempre e comunque vittima di un omicidio di Stato.
La musica e i testi svolgono un ruolo sociale anche in L’ultimo valzer e La finestra a vapore, in cui la quotidianità di un recluso diventa lento logorio di una vita che si consuma e che trova fuga soltanto in un’ora d’aria e in una finestra che permette di immaginare scenari che forse non si vivranno mai. È sempre lo Stato che fallisce se l’istituzione non riesce a guidare e poi recuperare chi si è smarrito: in Ad ogni alba la reclusione altro non è che lenta conta dei giorni che restano. Ma non è solo il diritto a vivere in quanto tale che si difende, ma anche il diritto a vivere la vita che si vorrebbe, con i propri affetti: ne è testimonianza Zuccaredda, in cui l’atroce sofferenza di un padre recluso che vede la propria figlia crescere senza di lui è monito per tutti, per ciò che quotidianamente scontano le famiglie di chi è privato della libertà, vivendo un dramma pari a quello di coloro che hanno subito un torto.
A testimonianza dell’attaccamento a questi temi, la prima presentazione e conferenza stampa del concept album si è tenuta nel Carcere di Opera di Milano, durante il convegno La difficile condizione tra detenuti e figli, a cura del dottor Aparo Angelo. L’evento si è svolto in occasione della Milano Music Week 2019, in assenza di telecamere e di media per un appuntamento intimista, confidenziale e dal notevole impatto emotivo, con la presenza di Moni Ovadia e Alessandro Haber, che hanno collaborato con Fiumanò all’insegna del dovere sociale, della stima e dell’amicizia che li lega.
In occasione di questo ritorno sulle scene, in un incontro fatto di musica e parole, il maestro Fiumanò ha risposto ad alcune nostre domande sui temi più importanti del suo lavoro.
Il concept album 9 minuti 9 è in qualche modo collegato ai precedenti lavori? Al centro di questi c’era già la sacralità della vita?
«In Alcatraz, in Ero Jazz e non lo sapevo, c’era già un’anticipazione di quello che sarebbe stato. Anche Alcatraz era il racconto di una persona che ha scontato la sua pena, ma questo non è un album inteso nel senso classico, è un concept album perché monotematico».
Quanto è difficile per un artista socialmente impegnato come Lei inserirsi nel problematico panorama politico e sociale attuale?
«Sicuramente stiamo vivendo un periodo storico che è frantumatoio di valori, ma è proprio la mia missione politica, intesa come rendere servizio al popolo, che mi tiene ancora vivo e che mi dà la spinta per interessarmi a questi temi. Bisogna recuperare la politica allo stato puro, come strumento a disposizione di tutti».
Ha affermato più volte che questo concept album non è solo la Sua voce forte e chiara a dire che la vita è sacra, ma è anche lo strumento per chi voce non ha. A chi vuole che arrivino più di tutti questi messaggi?
«Vorrei trasmettere questi messaggi a chiunque perché ciò che racconto è un dramma di tutti, nonostante siamo diventati oramai insensibili al dolore altrui. Il tour che mi piacerebbe fare non si fermerebbe al carcere, ma arriverebbe nelle piazze e nelle scuole, per ripristinare l’asse scuola-famiglia ed evitare quelle guerre che partono dal nucleo familiare».
Che sensazioni ed emozioni Le ha lasciato l’inaugurazione al Carcere di Opera di Milano, in uno dei luoghi simbolo di ciò che racconta?
«Definirei l’emozione provata come la consapevolezza che non tutto è perduto, fino a quando avremo un po’ di utopia, il sogno è possibile. È stata una fortissima e inaspettata emozione, sapevo che non sarebbe stata interiormente una passeggiata ma è stato molto forte, probabilmente perché si tratta di un tema così drasticamente messo da parte».
Copertina di Lorenzo Fantetti
Foto di Luca Gazzola