In questi giorni sta girando sul web – con il sistema della catena di Sant’Antonio – un video del Vicepresidente della Camera ed esponente di punta del M5S, Luigi Di Maio, sui privilegi dei parlamentari e sull’indisponibilità degli stessi a qualsiasi tipo di riforma che ne abolisca anche una minima parte.
Su uno dei social maggiormente diffuso al mondo, quotidianamente vengono proposti stralci di interventi dei parlamentari 5 Stelle che fanno breccia nell’opinione pubblica da troppo tempo distante da una classe politica che certamente non fa onore al nostro Paese.
Anche alla TV di Stato, attraversata periodicamente dalle invettive dei Giletti di turno, dai Vespa-sermoni e dalle vergognose liste sulle caratteristiche delle donne dell’Est, è garantita la nota di protesta, e la richiesta di chiarimenti del Presidente grillino della Commissione di vigilanza sistematicamente non porta mai a nulla.
Intanto, il fondatore del movimento dal suo megafono genovese continua a bacchettare a destra e a manca e ci ricorda, durante una sua trasferta romana, che la democrazia è tale quando ha delle regole che sono rispettate.
Le regole, ma quali? Chi le ha stabilite? Il proprietario dell’azienda? Quelle regole che prima decidono che dal cilindro della rete vengono fuori i candidati e una volta eletti, se non hanno il gradimento del titolare, non se ne fa nulla?
Questi solo alcuni degli elementi per comprendere quello strano mondo sicuro di essere l’unico capace di salvare le sorti dell’Universo e che, per dimostrarlo, ha adottato una strategia, per alcuni versi lodevole, che fa molto effetto sulla gente: la rinuncia del finanziamento pubblico, l’autoriduzione dello stipendio e i tentativi continui di diminuzione o eliminazione dei privilegi dei parlamentari.
Premesso che occorrerebbe fare chiarezza ed entrare nel dettaglio dell’autoriduzione, come non essere d’accordo con queste iniziative e con il grido di “Onestà, onestà” condito in tutte le salse?
Tuttavia, si tratta pur sempre di una strategia per attirare consensi. Pur riconoscendone l’alto valore simbolico oltre che l’oggettivo risparmio, è impensabile, infatti, che se anche fossero aboliti tutti i privilegi e dimezzati gli stipendi dei nostri rappresentanti, si risolverebbero i problemi del Paese.
Dunque, a quando il passaggio dalla contestazione alla proposta politica? Non si venga a dire che i cassetti delle aule parlamentari sono pieni di proposte e di interrogazioni grilline. Il Parlamento non è il luogo delle proposte confezionate da prendere o lasciare, ma il luogo di discussione e d’intesa anche delle iniziative di altri che, se finalizzate al bene comune, devono trovare il consenso.
Il troppo variegato mondo pentastellato – pur apprezzandone e condividendone alcuni contenuti basati sui valori di uguaglianza e giustizia – mi ha sempre lasciato perplesso sull’eterogeneità di provenienza e di mondi distanti in quanto a temi di fondamentale importanza quali l’immigrazione, l’Europa e lo stesso concetto di democrazia le cui regole non si capisce bene quali e quando valgano per gli uni e gli altri e se si intenda gestire follemente lo Stato con lo stesso metodo.
Troppe sono le assonanze con i periodi bui che preferiremmo rimanessero ben custoditi nei libri di storia. Come l’affermazione che spesso si ode in giro, “A questo punto per come siamo messi proviamo pure questi”, pensiero che viaggiò nella mente degli italiani già nel ’94 e che sapientemente Montanelli interpretò, sostenendo che ci saremmo dovuti sorbire di tutto per un ventennio con le conseguenze che il Paese paga ancora amaramente.
Ma è davvero questa l’Italia che vogliamo per noi e per le nuove generazioni? L’Italia dell’avventura o quella di un progetto politico che sappia ricomporre il presente e disegnare il futuro? Un progetto politico che deve partire dall’attuazione della Costituzione con al primo posto gli articoli tre e quattro senza dei quali questo nostro amato Paese non avrebbe domani. Tutto il resto poi – privilegi compresi – cadrebbe a pezzi.
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.