Il romanzo d’esordio di Indyana Schneider, 28 domande per innamorarsi (Atlantide), è un romance la cui ricerca oscilla sul confondibile confine tra amore e amicizia. Il rapporto fra Amalia e Alex, entrambe studentesse di Oxford, ondeggia al ritmo di una musica sempre diversa e sempre parimenti intensa fra due poli. Ammesso che di poli si possa parlare, suggerisce Schneider nel suo testo. Ammesso che questo sentimento di cui tanto si è scritto, si è cantato, si è parlato, sia in qualche modo afferrabile, delineabile.
Nello sforzo descrittivo si finisce inevitabilmente per dire altro, stabilire altro, fissare l’identikit del desiderio in ogni minimo, puntiglioso, particolareggiato dettaglio senza, però, arrivare mai a catturare un’esperienza amorosa universale, che valga per tutti in egual misura.
Amalia ripercorre la storia con Alex e compulsivamente la suddivide in fasi: segmenta momenti, disseziona ricordi, spezzetta discorsi, frasi, baci, carezze per intrappolare il sentimento provato in qualcosa di fermo nel tempo, qualcosa di eternamente vero. Aggrappata a questa necessità, e incapace di chiamarla, Amalia si profonde nell’esplorazione quasi scientifica della sua partner, fissando su un taccuino le sue risposte alle 28 domande per innamorarsi e anche una lista di cinquanta fatti su Alex, sul suo modo di essere. O, meglio, del suo modo di essere con Amalia, come amica, partner, amante.
L’elenco accompagna il libro e la relazione nelle sue diverse fasi e risulta, dunque, a tratti ardente, impaziente, contraddittorio. Le contraddizioni danno la cifra della parzialità, del peso della soggettività di chi osserva, che appassionatamente si aggrappa a un’immagine da venerare e ne fa modello e così l’amore diventa l’ineffabile mezzo attraverso il quale si è in grado di definirsi, di raccontarsi, di dire di sé.
Nella relazione con Alex, Amalia svela a se stessa una parte del suo sentire sommerso. Le ventotto domande del titolo sono da intendersi come una sorta di psicoterapia amorosa, al cui centro, più che l’oggetto delle passioni, sta la passione stessa. Che il nome dell’amata diventi, per un periodo, sinonimo di quest’ultima è solo marginalmente importante. Le relazioni terminano, il sentimento perdura: fluttua intangibile a un palmo dal cuore. L’evanescenza permette di parlarne per metafore e la più calzante, scrive Schneider per bocca di Amalia, è forse la musica. La protagonista studia, del resto, canto e musica a Oxford e il suo lungo flusso di confidenze è inframmezzato da inserti musicali: pentagrammi che sperimentano il suono dell’amore in chiave di sol. I diversi tipi d’amore (romantico-amicale-sessuale) si combinano in armonie impreviste: dove la codificazione del sentimento fallisce a parole, la musica sopperisce e provvede.
Anche Schneider, come la sua protagonista, è una cantante lirica: il suo sito web è interamente dedicato alle sue performance teatrali e alla sua carriera da mezzo soprano. Alla musica sono dedicate alcune delle più interessanti e profonde riflessioni del romanzo: la cornice di Oxford e della vita universitaria diventa spesso pretesto per la condivisione di tesi che uniscono la musica con la poesia, con l’antropologia, con la socialità umana e con le identità queer. A fronte del ciclico ripetersi caotico di una vita scandita da studio, feste ubriache, sesso occasionale della protagonista ventenne, sono questi, i momenti in cui Amalia si morde le dita a sangue nel tentativo di digitare al computer i suoi saggi sulla musica, i veri attimi di vivacità del libro: i paragrafi in cui il sentimento amoroso si esalta e guizza nella filosofia musicale.
Nonostante il romanzo ponga al suo centro la formazione sentimentale della giovane donna, infatti, la maturazione di Amalia e il germogliare del suo incontro con Alex sembrano fare da contrappunto alla relazione già matura, già piena, traboccante, con la musica. Anche la crisi nel rapporto d’amore è accompagnata da una crisi con la passione primigenia: a significare, forse, che ciò che si ama e ciò che si è sono spesso coincidenti, combacianti come pezzi di un puzzle, e quando si rinuncia o si perde l’amore in nome di un pragmatismo invocato da fuori si perde, in fondo, anche la propria viscerale essenza.