Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere, scriveva Daniel Pennac. Anche quest’anno, ai libri, abbiamo voluto dedicare le nostre giornate. Anche quest’anno, nei libri, abbiamo trovato conforto e insegnamento, passione e divertimento, speranza e possibilità nuove. Ne abbiamo selezionati alcuni, per voi, tra quelli che più crediamo abbiano segnato il 2021, un anno di ottime pubblicazioni e di ripresa, di fiere, presentazioni, eventi che hanno visto appassionati, lettori e addetti ai lavori di nuovo insieme. Confidando nel prossimo. Augurandovi il meglio. Buona lettura!
Alessandro: L’educazione sentimentale di Eugenio Licitra – Francesco Recami, Sellerio
È una storia di formazione ambientata negli anni Settanta a Firenze quella protagonista del romanzo di Francesco Recami, una storia sarcastica e, al contempo, spinta da un sentimento d’affetto verso il periodo che, forse più di ogni altro, ha cambiato la storia d’Italia. Il Paese è diviso tra realtà rurali e spinte progressiste, come nel caso del capoluogo toscano, centro della cultura, punto d’approdo di giovani e intellettuali.
Eugenio Licitra è il ragazzo, il più giovane di un gruppo di quattro ventenni entusiasti, impegnati sui grandi temi, dalla filosofia alla politica, e travolti dal desiderio in campo amoroso. E il desiderio è il tema principale del libro, un desiderio che non si compie mai del tutto, che cerca la propria definizione, specchio proprio del periodo storico che ospita la narrazione. Invita a pensare, Francesco Recami, ma anche a non prendersi troppo sul serio, adoperando la sua rinomata ironia, stavolta tenera, affettuosa verso i suoi personaggi, anziché cruda e prostrata rispetto all’essere umano e la sua natura.
Il ragazzo lascia la sua Ragusa per studiare filosofia, a Firenze, però, non troverà soltanto nuovi stimoli sul piano accademico, ma anche nuovi obiettivi. C’entra il sesso femminile, certo, una donna, ma anche la sfida più iconica di quegli anni, battere l’auto simbolo del ’77 – la mitica Alfasud – con una 600 Abarth ritoccata a puntino, un po’ sulla scia di Taxi driver.
L’educazione sentimentale di Eugenio Licitra è una dichiarazione d’amore dell’autore agli anni Settanta ma anche una presa in giro dei dogmi che ne muovevano gli ingranaggi.
The Passenger – Napoli, Iperborea
Nella mente di tanti ancora scorrono le immagini della Napoli dolcemente dipinta da Alberto Angela in prima serata su Rai 1, la notte dello scorso Natale. La città del Vesuvio, però, è già stata protagonista – a settembre – della bellissima serie Passenger, la collana della casa editrice Iperborea dedicata alle grandi destinazioni turistiche di tutto il mondo.
Un volume che indaga il mito ed esamina le stratificazioni sociali più crude, che interroga la politica, l’eccezionalismo locale che lega la sua natura al filo che sempre unisce Napoli al suo passato, che entra nei vicoli del centro storico e si spinge nelle periferie, dove i murales celebrano, spesso, una quotidianità a luci e ombre, in quartieri come Bagnoli o San Giovanni a Teduccio che ancora vivono in un limbo tra speranze e frustrazione per il lento processo di riqualifica.
The Passenger – Napoli si lascia ammaliare dalle storie tra sacro e profano che tessono l’anima della città, fino al rapporto con il tifo calcistico, e censisce in panorama giornalistico partenopeo. Gomorra e borghesia, cinema e quotidianità, la casa editrice del grande Nord si muove, con agio, tra i vicoli di una delle città più calde e complesse del Sud.
Flavia: Sangue di Giuda – Graziano Gala, minimum fax
Certe cose accadono solo in dialetto, diceva Raffaello Baldini. Ed è proprio in dialetto – in una lingua tutta sua, tra il napoletano, il pugliese e il siciliano – che il protagonista di questo libro ci porta a Merulana, una terra immaginaria come la sua parlata, nelle sue fratture e storture, un paese di carta stagnola scambiata per metallo. Tutti, qui, conoscono Giuda, lo chiamano così come lo chiamava suo padre, un marchio a fuoco a indicarne il tradimento, lui così dissimile dal genitore, dai compaesani, dall’ipocrisia di una terra che è Sud ma potrebbe essere ovunque, un luogo abitato da scemi senza nu minimo ’e cuscienza.
Nessuno, a Merulana, pronuncia più il suo nome, nemmeno Giuda, che quando scrive si firma in modo diverso (tuo marito, ad esempio, quando indirizza le sue lettere a una moglie che non c’è). E, senza nome, la vita finisce per essere tutta ’na miseria e ’na sconfitta, la felicità attimi di dimenticanza, la periferia del mondo l’unica casa possibile. Ai senzadio, ai reietti, ai cocciamatte, Graziano Gala dedica un libro intenso e ironicamente malinconico. A loro, ai dimenticati, restituisce dignità e ribellione. Forse, anche un nome.
Francesca: Morgana. L’uomo ricco sono io – Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, Mondadori
“Una ragazza dovrebbe avere una stanza tutta per sé e una rendita di 500 sterline l’anno”. Con questa frase politicamente rivoluzionaria e di cui purtroppo la memoria collettiva ha conservato solo la prima parte, Virginia Woolf lega strettamente il discorso sull’emancipazione femminile ai soldi, presentati come la premessa stessa della libertà. Il denaro è il vero tabù da violare quando si parla di donne perché è il potere più grande, quindi per definizione è stato per anni solo degli uomini.
Morgana è un libro che racconta storie vere di donne imprenditrici, artiste carismatiche, campionesse sportive, intellettuali contraddittorie, a tutte queste donne la libertà è spesso costata cara, ma nessuna di loro ha mai smesso di lottare per potersela permettere. In tutte le vite delle protagoniste risuona forte la frase di Cher che, quando la madre le consigliò di smettere di cantare e trovarsi un uomo ricco, ebbe l’ironia di rispondere: «Mamma, l’uomo ricco sono io».
Chiara: Il femminismo è per tutti. Una politica appassionata – bell hooks, Tamu Edizioni
Qualcuno doveva scrivere questo libro, e lei lo aspettava. Bell hooks, attivista e scrittrice scomparsa di recente, ha dedicato la sua vita allo studio del femminismo intersezionale e alla correlazione tra genere, razza e capitalismo nella produzione di discriminazione e sistemi d’oppressione.
Era in attesa che qualcuno scrivesse un libro che non affrontasse il femminismo dal punto di vista accademico, ma che lo rendesse comprensibile e accessibile a ciascuno. Un libro che rendesse il femminismo per tutti, non solo per gli attivisti. Quel libro che aspettava, però, non è mai arrivato così, alla fine, l’ha scritto lei. E nessuno avrebbe potuto fare di meglio.
Il femminismo è per tutti. Una politica appassionata parla sin dal titolo e spiega come, da un lato, il femminismo possa essere praticato da tutti attraverso piccoli gesti quotidiani e, dall’altro, quanto esso riguardi davvero ognuno di noi, quanto la coscienza femminista permei ogni aspetto del quotidiano e quanto la sua assenza comporti una diminuzione dei privilegi anche per chi pensa di essere salvo.
A poche settimane dalla sua grande perdita, non possiamo che consigliare il manuale di bell hooks che spiega il femminismo a chiunque voglia ascoltarlo.
Giusy: Gli invisibili – Pajtim Statovci, Sellerio
Una storia d’amore tra un serbo e un albanese, durante la guerra in Kosovo. Una passione travolgente che sa di atrocità, rabbia e tenerezza, in una cultura che rifiuta le relazioni tra uomini. Una vita sconvolta dalla ferocia dei conflitti armati, che porta Arsim e Milos a cambiare e a diventare ciò che mai avrebbero voluto, nutrendosi di menzogne dette a se stessi e agli altri.
Distesi l’uno accanto all’altro, ascolto il suo respiro affannoso, e penso a quanto sia ingiusto che nel mondo esistano due tipi di persone: quelli che non devono avere paura di niente e quello che hanno tutto da temere. La paura funziona in questo modo: arriva di colpo e tutta insieme.
Un racconto di cosa significhi essere invisibili, terrorizzati e folli. Di quanto la guerra cambi le persone così nel profondo da non sentire più pietà né compassione, né devozione per nessuno che non siamo noi stessi. Statovci, con la sua mirabile scrittura, ci fa piombare nello sconforto di chi si sente sconfitto dalla vita e non vede via d’uscita, se non piegarsi a essa.
Noemi: Le cattive – Camila Sosa Villada, SUR
Las malas sono le prostitute trans del parco di Sarmiento, donne con la barba e l’olio motore iniettato nel seno, un branco che si muove all’unisono traballando sui tacchi di plastica dura. Incattivite, selvatiche e sfacciate, combattono con sfrontatezza e ironia un mondo che le vuole morte, nascoste e sottomesse. Camila è una di loro: la chiamano Cristian quando frequenta i banchi dell’università, ma di notte rinasce come donna nel parco del Sarmiento.
Camila era destinata a fare la puttana o a morire buttata in un fosso, così le diceva suo padre. Una profezia avveratasi parzialmente perché, nella notte, ha trovato un branco in cui rifugiarsi, case in cui nascondersi e una sorellanza pronta a difenderla. Ha trovato la Zia Encarna e la sua pensione rosa, un bambino pescato tra i rovi, una strega paraguayana, una trans mannara: una famiglia assurda, queer, scandalosa, che svela tutto l’orrore della normalità e la meraviglia dell’anormalità.
Un romanzo sospeso tra l’autobiografia e il realismo magico, la verità e la menzogna, che crea un nuovo immaginario e un nuovo linguaggio queer: non più rassegnato, ma furente, rabbioso e pronto a imporsi nella realtà.
Sulla cattiva strada – Sara Benedetti, Nottetempo
È l’esordio di Sara Benedetti, nato da un documentario girato alle Vallette, il carcere di Torino. Ascoltando le storie dei ragazzi che vivevano tra quelle sbarre, l’autrice ha deciso di trasformare la loro realtà in finzione. È così che nasce Sulla cattiva strada, un romanzo che segue per trent’anni le vite dei caruggiai, i ragazzini dei vicoli di Genova. Persi in quel labirinto di stradine, cresceranno tra spaccio, lotte tra gang, coltelli, prostituzione ed eroina. La cattiva strada è il luogo dove sono nati e che li ha accolti, mentre il mondo continua ad andare avanti senza pensare a loro. Guardiamo i vicoli del centro attraverso i loro occhi, sempre uguali in una Genova che invece si trasforma. Il G8, il crollo del ponte Morandi, il nuovo porto e l’Expo: il tempo corre e si sgretola di fronte a Tedesco, il ragazzino biondo con la faccia da angelo che vediamo crescere e imparare a sparare. Dal collegio al carcere, dal piccolo spaccio al grande spaccio internazionale: Tedesco e i suoi fratelli di strada sono costantemente in bilico tra il bianco e il nero, tra la violenza e la tenerezza, tra l’amore e lo squallore, cercando di scappare da Genova e prendere il largo ma senza farlo mai.
Annarita: Una ragazza molto bella – Julián López, Polidoro Editore
Credo che la mia paura più grande fosse che la pioggia inzuppasse mia madre, che la rendesse lacrima: di solito le ragazze molto belle si affliggono terribilmente davanti a un orizzonte scuro.
Una ragazza molto bella è la dedica poetica di un bambino di sette anni a sua madre, immersa in un tempo rallentato, in cui l’infanzia solitaria dell’uno convive con l’affascinante giovinezza dell’altra. Sullo sfondo c’è l’Argentina degli anni Settanta e, al centro di ogni cosa, quella ragazza che, durante gli attimi di solitudine – così li chiama suo figlio – si allontanava dal suo sguardo attento per farvi ritorno poco dopo, un po’ diversa, come se fosse più donna, ancora più sensuale.
Il mistero della madre, mai rivelato per davvero, era la resistenza, così come l’intento della dedica del bambino: resistenza alla dimenticanza, alla sopravvivenza stessa. Ed è così che si presenta il romanzo del poeta argentino Julián López: c’è tanto che sfugge, tanto che tace, ed è proprio il taciuto che rischiara la loro condivisa, intima quotidianità. Il bambino si fa adulto per rievocare il ricordo di quel corpo materno dalla bellezza eterna, pieno di dettagli spontanei, dalle maniere ingenue e risolute insieme, raccontati scrupolosamente e con simpatica sensibilità.
Qui l’abbandono ha le sembianze di un’ombra dai capelli rossi da cui, come destinato a doverci combattere per sempre, il bambino un po’ si difende, mentre un po’ incassa, come può, tutta quanta la preziosa presenza, che però è già nostalgia.
Bonus track
Flavia: La città dei vivi – Nicola Lagioia, Einaudi
È un libro del 2020, eppure non può non entrare di diritto nella nostra – personalissima – lista di titoli che hanno segnato l’anno che va concludendosi. Vincitore del Premio Bottari Lattes Grinzane e del Premio Napoli, La città dei vivi è la ricostruzione dell’omicidio di Luca Varani, uno dei casi di cronaca più noti – e assurdi – della storia recente del nostro Paese. Il delitto si consuma all’ultimo piano di via Iginio Giordani 2, lì dove ancora resiste la cattedrale di un orrore che la mente, per non impazzire, si rifiuta di spiegare. Un luogo mistico, al limite del demoniaco, dove per qualche ora l’inferno si fa terra. La terra si fa risucchio. L’assurdo possibile.
È qui che Luca Varani muore in un anonimo giorno di marzo del 2016. Marco Prato e Manuel Foffo si conoscono da poco o, forse, si conoscono fin troppo da diventare interscambiabili. Insieme stanno trascorrendo giorni di droga e alcol, di segreti inconfessati e inconfessabili, di parole dette da non dire e sguardi persi in cui è pericoloso affacciarsi. Come in uno specchio distorto, Manuel si riconosce in Marco; Marco si riconosce in Manuel. Entrambi colgono l’abisso che li tormenta e lo fanno proprio, senza soluzione di continuità.
Nicola Lagioia ripercorre le strade di quella che un tempo fu Roma e, oggi, è soltanto il suo spettro. E ricostruisce, in quelle strade, la genesi di una tortura che porterà un giovane a essere ammazzato, altri due all’autodistruzione. Lo fa, seppur nella crudezza della vicenda narrata, in una prosa asciutta di qualsiasi riprovazione, rancore, sentimento d’ira. Non condanna, non giudica, non assolve. Lagioia racconta i fatti. Racconta i personaggi. E con loro racconta Roma. Il declino, delle loro vite, della città, dell’eterna bellezza che la agita e corrode, diventa il nostro. Quello di chi legge e si ammala nelle stesse pagine. Negli stessi incubi. Nello stesso vuoto.
Il male che abita Foffo e Prato, il male della città, finisce con l’abitare anche noi, partecipi e colpevoli di un dolore che sentiamo sulla nostra pelle. L’irrazionalità lucida dei protagonisti muove i nostri fili e così ad agitarci, come marionette sulla scena, è dapprima Manuel, poi Marco, poi di nuovo Manuel e ancora Marco, in un circolo vizioso che non sa finire. Non troviamo pace. Perché non ce n’è. Non in questa storia. Non a Roma. Non se un ragazzo muore perché qualcuno deve morire.
Luca Varani siamo tutti. Ma tutti siamo anche Manuel Foffo e Marco Prato. Ed è qui che La città dei vivi – tra l’altro, anche straordinario podcast – si fa un libro portentoso, quando, senza giri di parole, ci rinfaccia un pensiero comune: È sempre: ti prego, fa’ che non succeda a me. E mai: ti prego, fa’ che non sia io a farlo. Quando ci mette di fronte alle nostre debolezze, alla naturalezza di un sentire che non è malvagio di per sé, ma rischia di diventarlo quando rifiutiamo l’idea che l’io è – anche o soltanto – l’altro. L’unica consapevolezza che, se acquisita, può dare veramente luce all’abisso.