Evitiamo di stufare chi legge con la retorica su quanto questo 2020 sia stato diverso dagli altri, su quanto abbia cambiato le nostre abitudini e su quanto (poco) abbia cambiato noi stessi. Quella del cambiamento, in particolare, è una speranza che tutti, in qualche modo, abbiamo coltivato e nella quale, forse, abbiamo creduto davvero, probabilmente scambiando il mero spirito di sopravvivenza che ci governa con il senso di umanità. Il nostro, naturalmente, non corrisponde a un tentativo di generalizzazione e, soprattutto, non sminuisce i tanti sacrifici che i cittadini hanno dovuto fare né le rinunce alle quali sono stati chiamati e a cui, nella maggior parte dei casi, si sono presto adeguati. È più una costatazione, amara, dei lunghi mesi che stiamo per lasciarci alle spalle.
La grande, imprevista, terribile e brutale sorpresa del 2020 è quella che ben conosciamo. Una sorpresa con la quale siamo ancora costretti a convivere e che ci ha fatto rendere conto che in fondo, al di là di potere, incarichi, conti correnti e latitudini, forse siamo davvero un po’ tutti uguali e che dello stesso male, purtroppo, possono soffrire tanto i ricchi quanto i poveri; che le stesse restrizioni possono riguardare sia chi vive nei grandi centri sia chi vive nelle periferie; che il pericolo, le preoccupazioni e le sofferenze possono raggiungere ogni punto dell’emisfero, anche quelli che prima di quest’anno non avevano nulla in comune.
Al di là di questa sorpresa, dunque, ne abbiamo trovate molte altre, piccole o grandi che fossero, restando sbalorditi da fatti, eventi, numeri che non conoscevamo o che facevamo finta di conoscere. Fatti, eventi, numeri che, in realtà, erano – anche il giorno prima dell’inizio della pandemia – sotto gli occhi di tutti, impressi tra le strade, nelle città, negli ospedali. Ed è da essi che vale la pena ripartire.
Abbiamo finto di scoprire, ad esempio, che il nostro sistema sanitario nazionale, per quanto ben strutturato, ha difficoltà a reggere, soprattutto in alcune parti del Paese, e che le condizioni degli ospedali non sono uguali dappertutto quando, per accorgersene, sarebbe bastato farsi un giro in appena qualche struttura. E c’è poco da stupirsi, visto che il fenomeno delle migrazioni sanitarie da Sud a Nord dura da decenni e i tantissimi tagli hanno provocato una disparità che stride rispetto all’articolo 32 della Costituzione che parla di salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Abbiamo finto di scoprire, per restare in tema, che il modello lombardo non funziona, che la privatizzazione della sanità e, quindi, del diritto alla salute, agevola le classi più agiate mentre scredita il sistema pubblico. E lo abbiamo capito ora che di quel pubblico abbiamo avuto incredibilmente bisogno: ma era davvero necessario aspettare una pandemia per affermare che investire nel privato porta a uno squilibrio, oltre che economico, anche sociale, tra chi può avere accesso immediato alle cure e chi, invece, si ritrovare costretto a rivolgersi alle strutture ospedaliere pubbliche che, volontariamente, vengono lasciate indietro?
Abbiamo finto di scoprire, poi, che esiste un problema relativo ai trasporti pubblici, soprattutto a quelli utilizzati dagli studenti per raggiungere le scuole, sin troppo spesso sovraffollati e insufficienti rispetto al numero di persone che li utilizzano. Una costatazione affatto nuova che può fare solo chi non ha visto i mezzi che da anni accompagnano i ragazzi in aula a fronte del pagamento di abbonamenti, anche esosi, a società pubbliche, finendo per utilizzare autobus e treni inadeguati, talvolta fatiscenti, o con il fare il tragitto in piedi. Le misure di distanziamento sociale hanno soltanto accentuato il problema, tuttavia quella della sicurezza dei passeggeri è una piaga già nota e datata nel tempo, ma comunque ignorata.
Abbiamo finto di scoprire, infine, che ancora nel XXI secolo esistono negazionisti, complottisti, no vax, nemici del progresso, individui che si ribellano alla scienza e che scendono in piazza sostenendo che i morti, persino le bare scortate dall’esercito, non siano collegati a quella che sarebbe solo una trovata dei grandi della Terra. E ci siamo persino meravigliati che questi abbiano trovato accoglienza presso politicanti che, tra lo stupore di chi ancora non li conosce, hanno avallato assembramenti, non hanno indossato mascherine e hanno sminuito, negato, insistito per riaprire favorendo la seconda ondata.
Forse, abbiamo capito che poteva andarci peggio e che a gestire questo caos poteva esserci chi crea problemi anziché risolverli, chi urla e chi sbraita, ma quante cose vedevamo e pensavamo di non conoscere. Sì, è stato un anno diverso, ma alla fine non così sorprendente.